giovedì 28 febbraio 2013

Chi mangi oggi?



...Il nostro intento come ideatori della pubblicità “Chi mangi oggi?” era esattamente questo. Riteniamo interessante dal punto di vista antropologico evidenziare che la fotografia di un bambolotto rappresentante le fattezze di un bambino umano smembrato e impacchettato, suscita generalmente indignazione e disgusto, mentre le continue e quotidiane pubblicità raffiguranti i corpi degli animali non umani smembrati e impacchettati in varie modalità non provocano lo stesso disgusto, anzi al contrario paiono universalmente accettate. La cultura della nostra società antropocentrica ci abitua alla visione di violenze e crudeltà nei confronti di esseri senzienti che vengono schiavizzati, torturati e uccisi con il benestare del comune sentire, solo perché non appartenenti della nostra specie.
Ecco quindi che se al posto di un agnello smembrato e incellofanato ci si ritrova un feticcio raffigurante un bambino, allora scoppia lo scandalo: le nostre coscienze sono obbligate a fare i conti con il nostro operato, con la nostra crudeltà, la nostra indifferenza, pertanto reagiamo indignandoci. Per una pecora un agnello è il suo bimbo, tanto quanto lo è un bambino umano per sua madre, e ciò a prescindere dalla specie animale di appartenenza e dal valore che noi le diamo. L’affetto materno e il sentimento che lo genera non conoscono confini di specie. Ciò però viene del tutto negato in nome della superiorità della specie umana, che si arroga il diritto di disporre a proprio piacere di ogni essere senziente e del pianeta...



lunedì 25 febbraio 2013

torturati ed eliminati


Seicento animali sottoposti a esperimenti di laboratorio “scompaiono” ogni anno in Italia senza lasciare traccia. Un buco nero sul quale sta cercando di far luce un avvocato del foro di Ferrara, David Zanforlini, ormai esperto di temi ambientalisti. Ultimo in ordine di tempo quello dell’allevamento Green Hill di Montichiari (Brescia).
Proprio seguendo quel caso, Zanforlini viene a sapere da fonti confidenziali che, una volta usciti dai centri di ricerca, alla fase della riabilitazione “arriva appena il 7/8 percento degli animali” (scimmie, cani e gatti). Un 30% finirebbe soppresso a causa delle sofferenze causate dagli esperimenti, che non consentirebbero all’animale una vita normale. “In mezzo c’è un buco di oltre il 60% degli esemplari”. Lo dice il legale, ma non occorre essere esperti di statistica per quantificare il numero di animali “scomparsi”.
Se consideriamo che in Italia, fonte Lega Antivivisezione, ogni anno sono 970 gli animali-cavia (“in questo – fa notare Zanforlini – paradossalmente l’Italia è un’isola felice rispetto ai numeri di Francia, Germania e Inghilterra, che ne ‘vantano’ cinquemila l’anno), si parla di circa 600 esemplari di scimmie, cani e gatti che mancherebbe così all’appello. La materia è disciplinata dalla legge 116 del ’92, relativa alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali. L’articolo 6 prevede che al termine dei test la ‘cavia’ ancora in vita può essere tenuta presso il centro di ricerca o affidato a uno stabilimento di custodia o rifugio. Ogni struttura deve tenere un registro degli animali utilizzati, annotando numero, specie, provenienza e le date del loro arrivo, della loro nascita e della loro morte.
Per verificare quei numeri Zanforlini, in qualità di rappresentante legale di Legambiente, ha scritto a Luigi Nicolais, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche. “Dalle indagini svolte da Legambiente – spiega il legale nella lettera – e incrociate con alcuni dati non ufficiali inerenti la presenza di alcuni primati non umani, cani e gatti, in alcuni centri di ricerca italiani, nonché dei dati circa la loro soppressione o affidamento ad altre strutture al termine degli esperimenti, si evidenzia una potenziale discrasia fra il numero degli animali dichiarati in vita dai centri di ricerca alla fine degli esperimenti e quelli invece affidati gli istituti di custodia”. Per scoprirlo, Legambiente ha bisogno di avere quei dati, conservati all’interno dei registri dei centri di ricerca, molti dei quali collegati al Cnr. “Se così fosse – avverte l’avvocato – si potrebbe configurare il reato previsto dall’art. 544 bis del codice penale”. Ossia uccisione di animali…

sabato 23 febbraio 2013

contro l'uso delle pelli animali



Il nuovo spot shock della Peta (People for the Ethical Treatment of Animals) contro l'allevamento degli animali da pelliccia, ribalta la realtà. In passerella non ci sono modelle su tacchi a spillo. Sfilano invece gli animali, foche e volpi in vestiti realizzati con parti umane. E quando la sfilata termina la scena del dietro le quinte mostra le gabbie che imprigionano donne e bambine terrorizzate. L'animazione è stata realizzata in occasione della settimana della Moda dall'agenzia pubblicitaria Ogilvy & Mather.

meno male che non so nuotare


La nuova moda della protesta ambientalista in Cina è sfidare i funzionari comunali a farsi una nuotata nei fiumi inquinati, che sono una della grandi piaghe aperte nel Paese dalla corsa sfrenata verso l'industrializzazione.
Ha cominciato un imprenditore di Rui'an, città nella provincia orientale dello Zhejiang, che sabato ha offerto al signor Bao Zhenming, responsabile per l'ambiente della sua zona, 200 mila yuan (25 mila euro) per nuotare venti minuti nel fiume. La proposta è comparsa sul blog del businessman, che ha pubblicato anche una serie di foto del corso d'acqua sul quale galleggiano lattine, plastica e una melma verdognola.
Secondo la gente di Rui'an la colpa è di una fabbrica di suole di gomma che verserebbe i suoi scarti chimici direttamente in acqua. Nessuna risposta da parte del funzionario Bao Zhenming. Dopo un paio di giorni il blogger ha rilanciato, chiedendo all'assessore di trovare il coraggio se non di nuotare come il presidente Mao, almeno di entrare in acqua, per rendersi conto dello schifo (e intascare la ricompensa). Alla fine Bao, quando si è visto messo alla berlina su diversi blog e sui giornali, ha rifiutato dicendo che «l'inquinamento qui non è causato dalle fabbriche, ma dai concittadini che buttano di tutto nel fiume, quindi vengano loro a pulire»…

venerdì 22 febbraio 2013

e poi dice che uno si butta nel vegeterianesimo


Si girano tutti assieme, nella lunga stalla. La testa fuori dalle gabbie di ferro, a guardare chi arriva. Sono curiosi, i cavalli. Fra 24 ore non ci saranno più il bardigiano o l'appenninico, l'andaluso o il maremmano, ma soltanto mezzene, quarti anteriori e posteriori, teste, cuori... Meglio far vivere bene le loro ultime ore: il fieno è buono, la stalla è pulita. "Il mio primo impegno - dice Andrea Zerbini, del macello Zerbini & Ragazzi snc di Fosdondo - è fare uscire da qui una carne sana e buona, e che faccia bene. Compro animali in mezza Europa, faccio mille controlli. Credo che la nostra professionalità dimostri un rispetto vero per i cavalli. Quelli che invece fanno il "pastone" sono degli avventurieri. Per loro i cavalli sono solo proteine da aggiungere a qualche miscuglio".

Il "pastone" denunciato dal commerciante e macellatore reggiano - uno dei più importanti, con cento cavalli che ogni settimana passano dalle stalle alle celle frigorifere - è il nuovo mostro che, dopo la mucca pazza, l'aviaria e altre disgrazie, spaventa l'Europa e mezzo mondo. "Lo preparano le industrie e le multinazionali che trattano la carne come se non fosse un cibo. Io sapevo ormai da anni che all'estero giravano carni equine con fenilbutazone. Speravo che lo scandalo scoppiasse, in modo da denunciare gli avventurieri. Ma adesso c'è il rischio che a pagare sia tutto il mercato e anche noi che non abbiamo nulla da spartire con quelle pratiche. Guardi questa 
stanza, e anche questa. Sono piene di "passaporti equini", la carta d'identità dei cavalli e asini macellati da noi. Per ogni controllo, li dobbiamo tenere per cinque anni"…

mercoledì 20 febbraio 2013

energia pulita


Costretti a lavorare nei campi di silicio, nei parchi fotovoltaici del Salento, sottopagati e pesantemente sfruttati; senza che gli fossero riconosciuti i diritti in materia retributiva, assistenziale e previdenziale. La piaga degli immigrati tenuti come schiavi dai padroni dell'energia segna un nuovo capitolo, dopo la pagina nera dell'aprile del 2011 quando scoppiò lo scandalo Tecnova e la rivolta dei migranti che si ribellarono per ottenere il pagamento della loro mano d'opera, denunciando le condizioni in cui venivano ridotti, pur di lavorare…

martedì 19 febbraio 2013

non ci sono problemi di sicurezza alimentare. ?????


Nestlè ritira dagli scaffali italiani e spagnoli ravioli e tortellini di manzo Buitoni, società che fa capo al colosso alimentare. Una decisione presa dopo che sono state rinvenute tracce di Dna dicarne di cavallo pari all’1%. Informate le autorità dell’esito degli esami, Nestlè rassicura: “Non ci sono problemi di sicurezza alimentare”. I prodotti ritirati saranno sostituiti con altri “che i test confermeranno essere al 100% di manzo” aggiunge Nestlè in una nota, nella quale precisa che sono state sospese “tutte le consegne di prodotti finiti con manzo della tedesca H. J. Schypke, società che lavora per uno dei nostri fornitori”. Tra i prodotti ritirati anche le “Lasagnes a la Bolognaise Gourmandes” prodotte in Francia…

giovedì 14 febbraio 2013

l'acqua di Kennedy contro il petrolio di Obama


Robert Kennedy Jr (nipote dell'ex presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald) e il figlio Conor sono stati arrestati insieme all'attrice Daryl Hannah e ad altre decine di ambientalisti durante una manifestazione di disobbedienza civile davanti alla Casa Bianca.
INCATENATI - L'obiettivo della manifestazione, che ha portato gli attivisti a incatenarsi alle cancellate di Pennsylvania Avanue, era quello di chiedere al presidente americano Barack Obama di porre il veto sul controverso oleodotto Keystone XL, che dovrebbe trasportare il petrolio greggio dall'Alberta (Canada) alle raffinerie in Illinois e Oklahoma e poi alla coste del Golfo del Messico.
«IMPRESA CATASTROFICA E CRIMINALE» - «La disobbedienza civile è l'unica risorsa contro un'impresa catastrofica e criminale che andrà ad arricchire poche persone, impoverendo il resto dell'umanità e minacciando il futuro della civiltà», ha spiegato Robert Kennedy, avvocato ambientalista, in un comunicato diffuso dalla sua organizzazione Waterkeeper Alliance

miti acquatici - Roberto La Pira




zucchero nascosto

...Denunciati per pubblicità ingannevole: gli zuccheri ci sono
Dopo un’analisi di oltre 100 prodotti trovati perlustrando gli scaffali di negozi e supermercati, abbiamo segnalato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ben 40 prodotti che hanno slogan a nostro avviso ingannevoli a riguardo del contenuto in zucchero. Ecco gli stratagemmi principali cui i produttori fanno ricorso.
·         Scrivere “Senza zucchero aggiunto”: la legge è chiara, per usare questo slogan il prodotto non deve contenere non soltanto zucchero (saccarosio), ma neanche nessuna sostanza usata come dolcificante, per esempio succo di mela o succo d’uva concentrati, malto di mais, sciroppo di riso… Perché? Perché questi concentrati sono di per sé ricchi di zuccheri (anche se non di saccarosio) e quindi alla fine il consumatore si illude di comprare un prodotto con poche calorie, mentre gli zuccheri ci sono, eccome (anche il 30%). Abbiamo denunciato diversi prodotti che riportano la scritta al di fuori di quanto ammesso dalla legge.
·         Scrivere “Senza zucchero”: la legge ammette questa scritta soltanto in prodotti contenenti al massimo mezzo grammo di zucchero per 100 g o ml di prodotto. Abbiamo denunciato un prodotto che riportava la scritta pur contenendone di più.
·         Giocare con le dimensioni dei caratteri: abbiamo denunciato prodotti che riportano scritte in cui la parte “senza zuccheri” si nota molto di più della parola “aggiunti”: come abbiamo visto, il significato delle due indicazioni è completamente diverso.
·         Scrivere “con fruttosio”: forse perché deriva dalla frutta, questo zucchero ha una immeritata fama salutistica; non soltanto non la merita, ma spesso costituisce soltanto una piccola parte degli zuccheri totali del prodotto.
·         Scrivere “senza saccarosio”: si gioca con il termine scientifico, per nascondere che se non c’è saccarosio, ci sono però zuccheri di altro tipo (glucosio, maltosio, fruttosio…), che nutrizionalmente non sono migliori.
Per scegliere guarda gli ingredienti
Controlla sempre la lista degli ingredienti per scegliere davvero il prodotto giusto.
·         Non farti attirare dalla scritta “senza zuccheri aggiunti”: gira la confezione e leggi la lista degli ingredienti. Se ci sono sostanze come succo di mela o d’uva concentrato, sciroppo di mais, glucosio o simili, sappi che gli zuccheri ci sono.
·         Ricordati che “senza zuccheri aggiunti” non significa affatto che il prodotto è senza calorie: ci saranno pur sempre gli zuccheri naturali della frutta, anche se non è stato aggiunto altro.
·         Le bibite “senza zucchero” contengono edulcoranti artificiali, che le rendono sconsigliabili in particolare a bambini e donne in gravidanza. Tra gli edulcoranti, meglio evitare ciclammato e saccarina, e avere cautela anche con acesulfame k (è facile superare la dose giornaliera raccomandata).
·         I prodotti da forno (biscotti, merendine e simili) che vantano l’asenza di saccarosio possono contenere altri zuccheri (maltosio, fruttosio…) e dolcificanti artificiali (polioli); questi ultimi se si supera la dose massima ammissibile possono provocare dissenteria.

con la scusa di Robin


L’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ha segnalato al Parlamento che numerose imprese del settore energetico e petrolifero avrebbero trasferito negli ultimi anni sui consumatori l’addizionale sull’Ires (la cosiddetta “Robin tax”), addebitandola sulle bollette di luce e gas e sui carburanti. Chiediamo al Governo e all’Authority di comunicare i nomi delle aziende coinvolte, l’entità degli addebiti scaricati sui consumatori e che venga predisposto il rimborso automatico per gli utenti.
La tassa caricata sulle bollette dei consumatori
Introdotta nel 2008, la cosiddetta Robin tax è mirata a colpire gli extra profitti di alcune tipologie di imprese. Si tratta, in sintesi, di un provvedimento attraverso il quale si cerca di sottrarre un po' di utili alle aziende del settore dell'energia, in vista di una ridistribuzione. Aggirando il divieto di "traslazione", secondo il rapporto dell'Autorità per l'Energia, molte imprese che pagano la Robin tax la scaricano poi sui consumatori. Questo significa, al lato pratico, che le aziende (199 su 476) avrebbero recuperato la redditività sottratta dalla tassa aumentando il differenziale tra il prezzo d'acquisto e i prezzi di vendita. Lo svantaggio per i consumatori finali è quantificabile in 1,6 miliardi di euro, cifra che viene sistematicamente caricata sulle bollette di luce e gas e sui prezzi del carburante.

attenti al cavallo


Per l’Italia il clamore suscitato in Gran Bretagna e Irlanda dalla scoperta, in molti prodotti industriali surgelati e non, targati Findus ma anche Tesco, Lidl, Iceland e Aldi, della presenza di carne di cavallo al posto di quella di manzo, può sembrare esagerato. In realtà la vicenda potrebbe avere ripercussioni che vanno al di là dello scandalo nato in un paese dove i cavalli sono amati quanto i cani e i gatti, e dove nessuno o quasi si sogna di mangiarne le carni. Perché quanto si è scoperto mina alla base la fiducia dei cittadini europei nel sistema di controllo e nella tracciabilità di alimenti che oggi fanno sovente viaggi lunghissimi prima di giungere sulle nostre tavole.
Ecco i fatti. Circa un mese fa, quasi contemporaneamente in Gran Bretagna e Irlanda vengono ritirate alcune partite di hamburger di manzo surgelati per la presenza, in alcuni campioni, di carne di cavallo. Da quel momento le segnalazioni e i sequestri hanno coinvolto anche la  Francia e altri Paesi. Le grandi catene di supermercati segnalano la presenza di carne di cavallo, confermata dal DNA specifico, in preparati a base di manzo, in percentuali che vanno dal 60 al 100% dei campioni analizzati.
Tra gli alimenti contraffatti si trova di tutto: hamburger, lasagne, spaghetti alla bolognese e varie pietanze contenenti carne macinata…

lunedì 4 febbraio 2013

mangiare oggi


QUANDO si parla di startup, il pensiero vola subito ai computer, al web, al silicio, al virtuale. Ma se c'è un settore in Italia che può vantare un'altissima concentrazione di nuove attività online, ed in effetti non dovrebbe stupire, è quello che riguarda cibo e cucina. Fare la spesa, scegliere le ricette, spadellare per gli amici e riunirsi intorno a una tavola sono azioni talmente di routine che reputiamo ormai immodificabili. Eppure tanti giovani imprenditori sono convinti che possa esserci qualcosa da migliorare e che il posto giusto per iniziare a farlo sia proprio il nostro Paese, con la sua cultura dei buoni sapori. Un viaggio nelle startup del "food 2.0" è quindi d'obbligo.
Nessun pasto potrebbe iniziare senza avere gli ingredienti e il primo passo non può che essere dedicato alla spesa. Oltre ai siti che permettono di farsi spedire a casa quanto scelto al supermercato, cresce l'attenzione per il prodotto biologico e a chilometro zero, grazie a portali locali come 
Zolle a Roma, Biokistl in Alto Adige,Casina Cornale nel cuneese e Cortilia in Lombardia, che permettono di scegliere e farsi mandare a casa propria prodotti locali e stagionali: dalle verdure alle uova, dalla frutta ai salumi e al miele.
"Sensibilizziamo i consumatori su temi come la stagionalità e la qualità di quello che ordinano", spiega Marco Porcaro, startupper seriale e fondatore di
Cortilia, "Il mondo agricolo è presente poco e male sul web e il nostro obiettivo è quello di accorciare la filiera  più lunga del mondo, quella alimentare, e mettere in contatto diretto il produttore e il consumatore".
Cortilia è nata sotto il nome di Geomercato nel 2011 e da allora ha raccolto oltre 10mila iscritti e 600mila euro di fondi da business angel e venture capitalist. Ci lavora oggi un team di sette persone sulla trentina, alle prese con l'organizzazione della piattaforma online, la logistica e il trasporto a Milano e nelle città vicine. "Noi spostiamo bit, come le altre startup tecnologiche, ma anche zucchine", continua Porcaro, "Tutta la logistica è a carico nostro e ci occupiamo anche dei controlli di qualità a campione e di educare i piccoli produttori su come sfruttare al meglio internet".
Chi invece non solo non ha tempo per fare la spesa, ma è anche a corto di idee su cosa cucinare e non vuole rischiare di appesantirsi, potrebbe trovare interessante quanto proposto da 
iDinner, startup sarda da pochi mesi sbarcata anche nelle grandi città settentrionali e tra poco anche in centro Italia. Il prodotto di iDinner è semplice: una spesa per 4 cene per una famiglia di 4 o 2 persone, con dentro tutti gli ingredienti (stagionali e freschi) necessari per seguire le ricette consigliate dalla nutrizionista del team.
"Siamo due famiglie con figli a cui non piace mangiare sempre le stesse cose", spiega Andrea Masci, uno dei fondatori di iDinner, "ma come tutti i genitori sanno, andare al supermercato con i bambini ti fa impazzire e non sempre si riesce a prendere quello che si vorrebbe o a pensare a cosa preparare". Dopo un lungo studio dei dettagli, e prendendo spunto dall'esperienza svedese (grazie a un membro del team che proviene dal paese scandinavo), nell'aprile 2012 iDinner ha aperto i battenti a Cagliari e, dopo l'estate, è sbarcata a Milano e Torino. "Oggi facciamo una cinquantina di consegne a settimana e i nostri clienti sono soprattutto persone che lavorano tutto il giorno, non riescono a fare la spesa e si sono stufate del take away. Ci preoccupiamo di garantire una grande varietà nelle ricette e negli ingredienti che proponiamo. Tutto a un prezzo abbordabile"...