lunedì 30 dicembre 2013

il caffè turco è patrimonio dell'umanità

Un sapore intenso e penetrante, grazie ad una ricetta che si tramanda da generazioni. Il Türk Kahvesi, il caffè turco, è entrato nella lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO. Lo ha deciso qualche settimana fa la Commissione Intergovernativa UNESCO motivando la scelta proprio con il riconoscimento  per una ricetta d’antica tradizione, scivolata lungo la storia del Paese che lo sorseggia. Infatti, il caffè turco unisce speciali tecniche di preparazione e una ricca cultura tradizionale, è celebrato nella letteratura e nelle canzoni e occupa un’importante funzione in occasione di incontri e cerimonie.
Si prepara facendo bollire l’acqua in un particolare bricco dalla forma allungata, tradizionalmente di ottone. Quando l’acqua bolle, si toglie dal fuoco e si aggiunge il caffè macinato finemente. A seconda delle varie tradizioni e località, possono essere aggiunte alcune spezie (opzionali) come il cardamomo. Il caffè così preparato assume una consistenza “sciropposa” e necessita di qualche minuto di decantazione per far depositare il sedimento sul fondo delle tazzine. Questo stesso sedimento assume forme particolari, che possono essere interpretate nella pratica tipicamente turca della lettura dei fondi di caffè.
Questa bevanda ha anche il suo Museo, che si trova ad Istanbul, all’interno del Museo statale delle Arti Turche ed Islamiche, a pochi passi dalla Moschea Blu. Qui, oltre alla degustazione del vero caffè turco, vengono insegnate le tecniche di preparazione (con tanto di attestato) e illustrata la storia di questa bevanda: come il caffè giunse nell’impero ottomano, l’apertura della prima caffetteria e come questa bevanda divenne popolare in Europa. Da non perdere perché, come dice un detto turco, una tazza di caffè si ricorda per 40 anni!

Me lo ha insegnato una mia amica di quelle care, a Gerusalemme. Fare il caffè all’araba, in fondo, è come concedersi una pausa. Concedersi il lusso del tempo sospeso. Da sola. Te e il tuo bollitore, di quelli con il manico lungo, una sorta di pentolino alto come lo scaldalatte. Non ha importanza che siano d’epoca, di rame, di lusso. Bastano quelli di acciaio povero, made in China. La cosa fondamentale è ritagliarsi il tempo per farlo, quel caffè. Tostato, macinato fino, con una bella manciata di cardamomo, anch’esso ridotto in granelli. La ricetta che m’aveva detto un vecchio signore palestinese, dopo avermi fatto assaggiare una tazzina del suo caffè buonissimo, non l’ho mai dimenticata. Mezzo classico (medio), mezzo nero, e una bella manciata di cardamomo.
Lo prendevo alla Città Vecchia, a pochissima distanza dalla Settima Stazione della via Dolorosa, quasi di fronte a uno dei gioiellieri migliori (e più piccoli) della Gerusalemme vecchia. Il viso dei due proprietari della torrefazione, probabilmente fratelli, era di quelli tristi, quasi assente. Stessi gesti, ripetitivi, automatici, gomito a gomito nell’angusto spazio di quella rivendita direttamente sulla viuzza, ormai senza guardare più con attenzione e rispetto i clienti, se non quelli del quartiere, i vecchi affezionati clienti di cui si conosce tutto. Anche i gusti per il caffè, anche le quantità di caffè, i soldi che hanno, le finanze a disposizione. Il fatto è che, di fronte alla torrefazione, i proprietari non hanno visto passare solo i vecchi, affezionati clienti. Hanno visto la cronaca quotidiana di Gerusalemme, la sua decadenza, il suo deterioramento, i suoi cambiamenti, le guerre, le battaglie, i soldati, gli scontri, i turisti, i pellegrini che ti guardano e non ti vedono, quelli che vorrebbero sapere chi sei e quelli a cui interessano solo le sacre pietre e semmai i souvenir (sacri o meno) da riportare a casa. Come succede in qualsiasi città di quelle simboliche…

Turkish coffee combines special preparation and brewing techniques with a rich communal traditional culture. The freshly roasted beans are ground to a fine powder; then the ground coffee, cold water and sugar are added to a coffee pot and brewed slowly on a stove to produce the desired foam. The beverage is served in small cups, accompanied by a glass of water, and is mainly drunk in coffee-houses where people meet to converse, share news and read books. The tradition itself is a symbol of hospitality, friendship, refinement and entertainment that permeates all walks of life. An invitation for coffee among friends provides an opportunity for intimate talk and the sharing of daily concerns. Turkish coffee also plays an important role on social occasions such as engagement ceremonies and holidays; its knowledge and rituals are transmitted informally by family members through observation and participation. The grounds left in the empty cup are often used to tell a person’s fortune. Turkish coffee is regarded as part of Turkish cultural heritage: it is celebrated in literature and songs, and is an indispensable part of ceremonial occasions.
da qui

mercoledì 18 dicembre 2013

Il paesaggio agricolo sardo in mano agli speculatori delle energie rinnovabili - Stefano Deliperi

Sembra impossibile, ma ogni giorno che passa pare proprio che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia l’alibi per massacrare il paesaggio agricolo sardo per fini puramente speculativi.
Altro che ecologiche e utili, le energie rinnovabili stanno vampirizzando sempre più ambiente e fondi pubblici.   Come tutte le cose, dipende sempre da come si utilizzano.
Basti pensare che cosa sta accadendo da tempo nelle campagne di Vallermosa, piccolo centro agricolo del Cagliaritano.
La Sardinia Green Island s.r.l., fra le varie società del Presidente della Confindustria della Sardegna meridionale Alberto Scanu,  ha in progetto una centrale solare termodinamica, ma non intende minimamente svolgere alcun procedimento di valutazione dell’impatto sull’ambiente, in quanto afferma di aver presentato la richiesta di autorizzazione qualche giorno prima dell’emanazione della deliberazione Giunta regionale n. 34/33 del 7 agosto 2012 + allegati che ha disposto la procedura di V.I.A. anche per gli impianti al di sotto della soglia di 50 MW di potenza.  L’impianto in progetto a Vallermosa dichiara 49,9 MW di potenza.
Mille forme di pressione, fra cui un contenzioso giurisdizionale, coinvolgendo i dipendenti, in buona parte assorbiti da altre realtà industriali in crisi e attualmente in cassa integrazione e non reimpiegati in altre attività…

martedì 17 dicembre 2013

Assassinato leader Guarani, protagonista de “La terra degli uomini rossi”

Ambrósio Vilhalva, leader Guarani e star del film “Birdwatchers – La terra degli uomini rossi”, è stato ucciso sabato notte. Da decenni lottava per garantire al suo popolo il diritto di vivere nella terra ancestrale.
Sembra che sia stato accoltellato all’ingresso della sua comunità, nota come Guyra Roká, nello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul. È stato trovato morto nella sua capanna, con ferite multiple da accoltellamento. Nei mesi scorsi aveva ricevuto diverse minacce.
Ambrósio aveva recitato il ruolo di protagonista nel pluripremiato film Birdwatchers – La terra degli uomini rossi di Marco Bechis, in cui si racconta la lotta disperata dei Guarani per la terra. Aveva viaggiato in diversi paesi del mondo per raccontare la difficile situazione del suo popolo e spingere il governo brasiliano a proteggere la sua terra così come imposto dalla legge.
“Ecco cosa vorrei più di ogni altra cosa: terra e giustizia… Vivremo nella nostra terra ancestrale; non ci arrenderemo mai”, aveva detto.
Guarani di Guyra Roká furono sfrattati dalla loro terra alcuni decenni fa, per mano degli allevatori. Per anni hanno vissuto senza niente, sul ciglio di una strada. Nel 2004 hanno rioccupato una parte della terra ancestrale, e ora vivono in un piccolo lembo di quello che prima era il loro territorio. La maggior parte della loro terra è stata spianata per far spazio a enormi piantagioni di canna da zucchero. Tra i principali proprietari terrieri coinvolti c’è anche il potente politico locale José Teixeira. Oggi, ai Guarani non è rimasto quasi niente.
Guarda l’intervista rilasciata a Survival da Ambrosio nel gennaio scorso, inframezzata a scene del film (in italiano): 
Ambrósio si era schierato con forza contro le piantagioni di canna da zucchero che occupano la terra della sua comunità e contro Raízen, una joint venture tra la Shell e Cosan che utilizzava la canna da zucchero per produrre biocarburanti. La campagna che la sua comunità aveva condotto insieme a Survival International aveva costretto la Raízen a rinunciare ad approvvigionarsi della canna da zucchero coltivata nelle terre guarani.
“Ambrósio ha combattuto con forza contro le piantagioni di canna da zucchero” ha detto oggi un portavoce Guarani a Survival. “Era uno dei nostri leader più importanti, sempre in prima linea nella nostra lotta. Per questo era minacciato. Era una figura davvero molto importante per la campagna dei Guarani per la loro terra, ma ora l’abbiamo perso.”
“Sono costernato” ha commentato l’attore Claudio Santamaria, che ha recitato al suo fianco nel film Birdwatchers ed era legato ad Ambrosio da profondo affetto. “Il tempo che ho trascorso con lui mi ha fatto capire quanto sia forte il legame che i Guarani mantengono con la loro terra – e con quanta dolorosa determinazione continueranno a combattere per riaverla. Ho scolpita nella mente l’immagine delle distese infinite di canna da zucchero e soia che oggi ricoprono il Mato Grosso do Sul: un tempo erano tutte foreste guarani. Ambrosio lottava per recuperare solo un piccolissimo pezzo della terra del suo popolo, ma gli è stato negato anche questo sogno.”
La polizia sta indagando sull’omicidio e sembra che siano stati fermati due sospetti, di cui non si conosce ancora l’identità.
“I Guarani soffrono uno dei tassi di omicidio più alti del mondo e il furto di terra è alla radice di tutte le violenze” ha detto oggi Stephen Corry, Direttore generale di Survival International, che aveva collaborato con Marco Bechis alla realizzazione del film. “Nonostante questo, il processo di demarcazione della terra è in una fase di stallo – le autorità stanno facendo troppo poco per contrastare gli allevatori che hanno occupato il territorio ancestrale della tribù. Quanti altri omicidi terribili dovranno subire i Guarani prima che la loro terra sia mappata e protetta?”
da qui


il consumo di suolo



grazie ad Alessio per la segnalazione

venerdì 6 dicembre 2013

animali in fuga

In Inghilterra, precisamente a Farlington, cittadina nei pressi di Portsmouth, nella contea dell’Hampshire, capita che una mucca fugga dal campo in cui è relegata e si lanci sull'autostrada a sfrecciare tra le auto. La polizia ci ha messo ben tre ore per raggiungerla. E abbatterla. Ciò che segue consiste in un resoconto, più o meno veritiero, di ciò che ha pensato prima di uscire dal recinto


E' finita nel peggiore dei modi la fuga del maialino Ettore, restituito a Roberta Perini tagliato a pezzi e pronto per essere surgelato. «Dopo tanta fatica non solo mia, ma anche di tutti quelli che mi hanno aiutato a cercarlo, sono riuscita ad arrivare alla verità. Ettore è stato catturato dalla squadra dei vigili del fuoco volontari di Gardolo domenica pomeriggio nella piazza dell'oratorio. L'hanno messo all'interno di una gabbia nella quale era immobile sia per la stanchezza che per la paura. E cosa è successo? É successo che i quattro componenti della squadra hanno di comune accordo deciso di portarselo a casa, semplicemente perché era morto, per mangiarlo». Roberta prende fiato, blocca le lacrime e prosegue: «Se lo hanno trovato morto, oltretutto dei vigili del fuoco non dei disperati senza tetto, come possono decidere di mangiarlo senza nessun controllo sanitario, quando la legge prevede l'intervento del veterinario? Se invece era solo ferito gravemente, sia per curarlo che per sopprimerlo dovevano chiamare lo stesso il veterinario. Temo piuttosto che Ettore fosse vivo e che riconosciuto come maiale lo abbiano ucciso». Ma non le avevano detto di averlo liberato nei boschi di Gardolo di Mezzo? «Esatto, sono stati gli stessi vigili del fuoco a dirmelo e per questo non credo assolutamente alla versione che mi è stata data dal capo squadra».
Ieri sera l'incontro in caserma: «C’era tutta la squadra. Si sono dichiarati dispiaciuti, ma il momento peggiore è stato quando me lo hanno restituito in tanti sacchetti. Secondo loro lo avrebbero raccolto zoppicante e con la bava alla bocca e sarebbe morto in caserma. A quel punto, avvertita la Forestale, se lo sono portati a casa».
A Ettore Roberta ha voluto molto bene, come a un comune animale da compagnia: «Non mi do pace - dice - per la fine che ha fatto, ma sono felice di avergli dato dei mesi di vita degna di essere vissuta. A differenza dei suoi fratelli degli allevamenti da carne, lui ha potuto vivere libero, grufolare nell'erba, ricevere coccole, correre con i suoi amici cani, ha potuto dormire al caldo. Ha vissuto amato e coccolato da tutta la mia famiglia».


giovedì 5 dicembre 2013

Togli la slot machine, caffè pagato

Togli la slot machine, caffè pagato. Cento caffè pagati. Ti premio perché hai rinunciato alla "macchinetta", e magari provo a risarcirti del danno economico. I baristi per primi, e i gestori di bar, si sono accorti da tempo dell'effetto tragico della presenza di slot, videolotteries, videopoker nei loro locali. Stretti dalla crisi, spesso però non hanno avuto il coraggio di staccare la spina alla mangiasoldi: tre slot machine garantiscono da sole un incasso di 1.300 euro. Così il volontariato urbano ha deciso di dar loro una mano, avviando un'azione di obbedienza civile.
"Città per città proviamo a portare nuovi clienti a chi sceglie di rinunciare alle slot", racconta Carlo Cefaloni, creatore insieme a 
Gabriele Mandolesi di un'iniziativa che oggi ha 94 associazioni a sostegno. Sul sito "senzaslot" ci si autosegnala (sono già in 240 ad averlo fatto), poi il gruppo SlotMob (vuol dire: facciamo un mob, un happening, una festa a chi rinuncia al guadagno derivante dal gioco d'azzardo) coordina via Facebook gli eventi da costruire attorno al bar che ha deciso di rinunciare alle macchinette…


il sito di chi non ha più le macchinette: http://www.senzaslot.it/

mercoledì 27 novembre 2013

una lettera da Arzachena, dentro la tempesta Ruven

Caro direttore, ho 19 anni, abito ad Arzachena e frequento l’Università di Sassari. Scrivo queste poche righe a lei perché non ho la forza, né il coraggio di rivolgerle alla mia famiglia. Pochi giorni fa è venuta a mancare mia nonna, Anna Ragnedda di 83 anni, travolta dal nubifragio che ha colpito Olbia. Ripenso ancora a due mesi fa, quando mi faceva gli auguri per l’Università e immaginavo la gioia che avrebbe provato nel divenire bisnonna per la terza volta. È morta nella maniera peggiore, da sola, al primo piano del suo condominio, come un topo in gabbia, senza il conforto di una voce amica che potesse rassicurarla, senza che nessuno di noi potesse fare niente. Esprimere il dolore che ho nel cuore è estremamente difficile, perché le parole che fuoriescono dalla mia bocca sono solo inutili, insignificanti suoni che appaiono sempre più distanti, sempre più impotenti, sempre più insensibili. Ogni giorno chiamo mia madre. Il come stai che le rivolgevo qualche settimana fa si è trasformato in un frastornante silenzio inframmezzato da un cosa fai?, state bene?, grazie al cielo qui a Sassari va tutto bene, perché so perfettamente cosa prova, quale stato d’animo si cela dietro la sua voce fioca e tremolante, sempre più ansiosa per la mia stessa incolumità. Mi sento impotente, inutile…

domenica 24 novembre 2013

Urbanistica: avanti il prossimo idiota! - Fabrizio Bottini

Dato che il territorio è il posto su cui tutti, nessuno escluso, appoggiamo i piedi, tutti nessuno escluso hanno pienamente diritto ad esprimersi a proposito di organizzazione del territorio, vista la loro comprovata specifica competenza ed esperienza.   Esiste però, qui come sempre, un certo limite alle legittime espressioni dell’istinto induttivo: non è detto che quanto mi va bene qui e ora possa andar bene a tutti gli altri sempre e comunque. Soprattutto considerando che le trasformazioni del territorio sono per loro natura praticamente irreversibili, nel senso che restano lì per l’eternità, le appioppiamo non solo ai nostri contemporanei, ma a tutte le stirpi della discendenza settanta volte sette eccetera. Quindi andiamoci piano con l’istintiva induzione, mi scappa di fare una cosina e la lascio lì per sempre su tutto l’universo.
Ma andatelo a spiegare a certa politica dal fiato corto, sempre trafelata dietro la ricerca di facili consensi e pronta a tutto pur di aumentarli e orientarli ai fatti propri. In Italia proprio in questi giorni sono esposte agli occhi di tutti le arrampicate (orgogliose e ostentate arrampicate) sugli specchi di un presidente di regione a statuto autonomo che nega l’evidente. Ovvero il disastro di un certo modello di trasformazioni territoriali di fronte agli eventi naturali, solo per compiacere una certa sua committenza di interessi, ritenuti legittimi a prescindere perché dovrebbero (pura fede, e pure un po’ fanatica) contribuire ad arricchire tutti.
Preso dalla foga inciampa anche sul generale e sul particolare, mettendo ben in luce almeno un aspetto: delle cose che dice non glie ne frega niente, i suoi obiettivi sono altri, e nemmeno tanto nascosti. Sono quelli della fede cieca di cui sopra: l’ambiente serve a far quattrini da spendere in consumi voluttuari, se no che ci sta a fare? Il resto è poesia infantile…

sabato 23 novembre 2013

La annunciata tragedia in Sardegna: non deresponsabilizziamo i colpevoli - Giorgia Foddis

Una strana coincidenza quella che sto vivendo, una sarda alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Varsavia. L’evento è solenne, vi è assoluta urgenza di agire, occorre sensibilizzare la popolazione, fare pressione sui negoziatori per far si che il riscaldamento globale sia limitato, che i maggiori danni dall’accertato cambiamento climatico siano limitati. Nel mentre un violentissimo nubrifagio colpisce per l’ennesima volta la mia terra, causando morti, feriti, sfollati, distruzione.
Accade quindi che la triste vicenda che sta colpendo la Sardegna riceva la massima attenzione mediatica. Ne ha parlato la BBC, e, mentre pranzavo nella Food Court del National Stadium, pure la CNN mandava in onda un servizio di due minuti con immagini che mi hanno fatto passare l’appetito. In fondo, penso, dovrei essere contenta della pubblicità che sta avendo, almeno la tragedia non passa inosservata.
Eppure…
In tanti scrivono, in tanti provano a spiegare le cause di questo triste avvenimento. E allora ricorrono parole come cambiamento climatico e triste fatalità, a volte accostate a generici e deboli richiami alla necessità di fare prevenzione. L’impressione che si ha è che si sia impotenti, che non sia stato possibile fare nulla per evitare la calamità.
Non c’è ancora spazio per la parola ‘responsabilità’ in questi discorsi, eccetto rarissimi casi a livello regionale.
È vero, le precipitazioni sono state intensissime (circa 500mml, corrispondente alla quantità media di precipitazioni di un semestre). È vero, gli eventi ‘estremi’ sono già più frequenti e sono destinati ad esserlo ancora di più, come sottolineato dal V Rapporto dell’IPCC. È vero, è importante sensibilizzare la popolazione sul tema del cambiamento climatico. Eppure, in tanti usano questo argomento solo per deresponsabilizzarsi, si chiama ‘emergenza’ ciò che ormai è divenuto ordinarietà…

giovedì 21 novembre 2013

Il “Ciclone Cleopatra”, ennesima “calamità innaturale” - Raniero Massoli Novelli

Le immagini purtroppo osservate sui media circa la tragica alluvione in Sardegna dimostrano chiaramente che strade e ponti costruiti negli ultimi decenni nell'isola sono opere realizzate in maniera speculativa e collaudate perlomeno con approssimazione.
Le piogge sempre più forti e concentrate le manda Madre Natura ma le strade, i canali, i fiumi, i loro alvei, i versanti collinari e montani, sono gestiti dall’uomo.
Per tali motivi a mio avviso i 17 morti in Sardegna richiedono da un lato un ben diverso modo di progettare, costruire, collaudare; da un altro che si accertino le responsabilità di chi ha speculato sul territorio.
Sono decenni che i geologi a tutti i livelli denunciano la fragilità idrogeologica di gran parte del territorio sardo ed i rischi connessi con il costruire case e strade negli alvei fluviali od in zone franose. Inutilmente.
I fondi per sanare o limitare il diffuso rischio idrogeologico risultano sempre di meno, mentre al contrario le imprese, gli amministratori locali ed alla fine i politici da essi sollecitati, i fondi per costruire li trovano sempre. Infatti non sono pochi in Sardegna i casi di amministrazioni comunali che hanno premuto continuamente sugli uffici regionali per avere le autorizzazioni a costruire anche laddove è palesemente pericoloso.
Senza dimenticare la piaga degli incendi boschivi, un fenomeno che, assieme alla presenza diffusa di rocce impermeabili come i graniti,  facilita non poco la veloce discesa a valle delle acque meteoriche e rende le alluvioni sempre più pericolose e diffuse.

mercoledì 20 novembre 2013

L'alluvione sarda e i fantocci impiccati - Pino Cabras

Gli hanno dato molti nomi: ciclone, Cleopatra, uragano, bomba d'acqua. La mia terra gli ha dato un tributo di vite umane. Il presidente della regione Ugo Cappellacci, pronto ad aggiornare l'elenco di piaghe descritte nel Libro dell'Esodo, gli ha dato la definizione di "piena millenaria". La tempesta che ha rovesciato sui suoli sardi sei mesi d'acqua in appena mezza giornata ha saputo guadagnarsi così il primo posto nella borsa mediatica delle catastrofi, in Italia e nel mondo, prima di essere inevitabilmente sostituita da altre notizie.
I lutti e i danni, tuttavia, non sono tutti dovuti al meteo cinico e baro. Questa devastazione deriva da un equivoco di fondo che la Sardegna di oggi e l'Italia sin dai tempi del Vajont si portano dietro: avere un suolo prevalentemente montagnoso e collinare, ma percepirsi come un paese di pianura, dove la pianura ha dimenticato per sempre tutta quella inutile materia fangosa e "prevalente" che sta a monte.
È uno spazio addomesticato, quella pianura ideale, segnato da linee d'asfalto, case, scantinati, capannoni, e mille altri segni di "sviluppo" che la separano dal passato rurale e la proiettano in un mondo magico e progressivo che fa a meno della geologia.
Olbia alla fine della seconda guerra mondiale era un borgo di diecimila abitanti, oggi ne ha sei volte di più. E dove ha fatto il nido tutta questa gente nuova? Lo ha fatto là dove volevano gli speculatori e dove la portava la corrente dell'abusivismo: dove un tempo c'erano stagni e dove scorrevano magri torrenti.
Le "piene millenarie", proprio perché hanno memorie lunghissime, ricordano ogni tanto che dove il fiume è già passato tanti anni fa, prima o poi ci ripassa ancora…

venerdì 15 novembre 2013

vicini di casa



Commento di Alberto Contri:

In una notte di luna i vicini di casa di un giovanotto che si esercita alla batteria, si lamentano con lui per il rumore che esce dalla sua finestra disturbando tutto il circondario.
Il ragazzo decide di fare un esperimento, facendo uscire a tutto volume dal suo impianto Hi-Fi la registrazione di una litigata con rumori di botte e urla di una coppia.
Alle grida di aiuto di lei, però, nessuno si presenta alla porta del giovanotto, nemmeno per vedere cosa succede. Un altro bell’esempio di come una associazione che lotta contro la violenza alle donne sia stata capace di usare l’ironìa per sottolineare quanto il problema sia sottovalutato nella vita di tutti i giorni.


mercoledì 13 novembre 2013

Stop ai nuovi incentivi per le energie rinnovabili elettriche!

Una lettera con la richiesta di moratoria a incentivi per nuove centrali eoliche è stata inviata da tredici associazioni ambientaliste ai ministri Zanonato, Orlando e Bray. Le associazioni intervengono a proposito del provvedimento annunciato dal Ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato per dilazionare parzialmente gli oneri che gravano sulle bollette di famiglie e imprese italiane a causa degli incentivi alle rinnovabili elettriche che ammontano ormai a 11,2 miliardi annui e che presto sfonderanno, per pura inerzia, anche il tetto dei 12,5 miliardi di oneri (6,7 per il Fotovoltaico più 5,8 per le restanti tecnologie) come stabilito dalla riforma dello scorso anno.
“Se il Governo intende intervenire per attenuare questo aggravio dei costi dell’elettricità che compromette ogni possibilità di ripresa economica, noi concordiamo con questa finalità, maosserviamo che prima ancora di cambiare tempi e regole per il pagamento degli incentivi già assegnati occorre smettere di assegnarne di nuovi. Ci riferiamo all’organizzazione delle aste competitive del prossimo anno per l’assegnazione di ulteriori incentivi alle fonti di produzione diverse dal fotovoltaico. Per il solo eolico on-shore (e per i soli impianti di potenza superiore ai 5 MW) s’intendono assegnare altri incentivi a un contingente di 500 MW di potenza!
Rimarchiamo che ogni nuovo impianto che fornisce energia intermittente (eolico e fotovoltaico in primis), oltre a nuovi oneri diretti di incentivazione, comporta ulteriori costi, in particolare:
-     per risolvere i problemi di dispacciamento,
-     per costruire nuovi elettrodotti, generalmente in aree a scarsa magliatura elettrica, con ulteriori danni ambientali,
-     per rispondere all’aspettativa di un “capacity payment” che mantenga remunerativi e in esercizio gli impianti a idrocarburi fossili che devono per forza fungere da riserva “calda” a impianti che, per loro natura, non sono programmabili:  non autosufficienti e non “alternativi”, con conseguente duplicazione dei costi.
Facciamo, inoltre, notare che gli obblighi assunti in sede europea dal Governo italiano nel 2010 per il raggiungimento della quota del 26,39% della produzione elettrica da FER sui consumi nazionali nel 2020, e per cui gli incentivi vennero a suo tempo stanziati, sono già stati raggiunti l’anno scorso e saranno largamente oltrepassati quest’anno.
Altri settori, più performanti nella lotta ai gas serra e più utili all’ambiente e all’economia del nostro Paese come le rinnovabili termiche e l’efficienza energetica, non hanno beneficiato di analoghe politiche.
Un provvedimento di moratoria a incentivi per nuovi impianti di rinnovabili elettriche intermittenti si rende indispensabile per non vanificare ogni possibile intervento di contenimento dei costi di incentivazione in bolletta e persino per evitare di dover tagliare retroattivamente incentivi già assegnati.
E’ inutile tentare di svuotare la vasca con un secchiello se il rubinetto rimane aperto ed è paradossale che società spagnole stiano per piazzare ulteriori centrali eoliche in Italia, mentre in Spagna è applicata una tassa del 6% sui ricavi da generazione elettrica.
Da Associazioni ambientaliste sensibili alla tutela del territorio, ci siamo espressi fin dall’iniziocontro gli incentivi che hanno favorito la speculazione a danno del paesaggio, della natura, dei territori collinari e montani, sui crinali appenninici e nel Mezzogiorno, senza portare riduzioni significative, a livello complessivo, dei gas climalteranti.
Facciamo notare che, se le nostre osservazioni fossero state accolte, non ci troveremmo in questa grave situazione, al punto da richiedere l’assunzione di provvedimenti, almeno in parte, retroattivi e con un territorio sfigurato che rischia di ricevere il colpo di grazia”.

giovedì 7 novembre 2013

Dalle Fiji all'Italia: comunità di ecoturismo si stanno sviluppando in tutto il mondo

Un nuovo modello di ecoturismo sostenibile sta godendo di un enorme successo, grazie ai contributi che provengono da tutto il mondo attraverso la rete. Dalle Fiji alla Sierra Leone, fino ad arrivare al cuore dell'Italia, sono nate delle comunità gestite a livello locale che accolgono visitatori pronti a lasciarsi coinvolgere nelle varie attività di questi posti meravigliosi, sia di svago che lavorative.
Tutto è iniziato nel 2006, quando gli imprenditori sociali Ben Keene e Filippo Bozotti lanciarono una comunità online o “tribù” chiamata TribeWanted [en,come tutti gli altri link, eccetto ove diversamente segnalato]. L'obiettivo era quello di costruire una comunità di turismo sostenibile a Vorovoro, isola appartenente all'arcipelago delle Fiji, in collaborazione con gli abitanti del posto.
La campagna riscosse subito un grande successo: nel giro di poche settimane, 1.000 persone da 21 Paesi diversi supportarono il progetto con una donazione media di 250 dollari a testa. Nel corso dei successivi quattro anni, un gruppo a rotazione di 15 membri della tribù ha dato vita a una comunità interculturale sull'isola, insieme ai proprietari terrieri e a 25 dipendenti locali.
Dal successo di questa impresa sono nati presto nuovi eco-villaggi: presso la spiaggia John Obey, in Sierra Leone, nel 2010 (sul sito si possono trovare i loro bellissimi video) e a Monestevole, in Italia, nel 2013.
Queste comunità vengono finanziate da membri provenienti da tutto il mondo [it], con un contributo mensile iniziale di 10 sterline a testa (circa 12 euro). Tutti i membri possono votare tramite internet i nuovi luoghi destinati a ospitare le comunità e la distribuzione delle eccedenze, possono mettersi in contatto con esperti di sostenibilità e prenotare un soggiorno in una delle comunità Tribewanted a tariffa ridotta…

mercoledì 6 novembre 2013

dolore Guarani

Damiana, leader di una piccola comunità guarani, ha appena guidato una coraggiosa “retomada” (rioccupazione) della sua terra ancestrale. I sicari assoldati dagli allevatori hanno già circondato la sua comunità. 

Dopo essere stata sfrattata con la forza dalla terra ancestrale per fare spazio alle piantagioni di canna da zucchero, Damiana è stata costretta a vivere per dieci anni come una rifugiata sul ciglio di una strada, in squallide baracche di lamiera e teli di plastica neri separate dalla sua terra da un sottile filo spinato.

Nel corso della sua vita, Damiana ha dovuto assistere a una terrificante epidemia di suicidi tra i giovani del suo popolo. Ha visto bambini morire di malnutrizione, sua zia è stata avvelenata dai pesticidi spruzzati dagli aerei sopra la comunità, e ha perso il marito e tre figli, investiti e uccisi uno dopo l’altro lungo la pericolosa superstrada che passa a pochi metri dal quel misero riparo che è costretta a chiamare “casa”. Come se non bastasse, il mese scorso il suo accampamento è bruciato in un incendio sospetto, e i suoi pochi beni sono andati completamente distrutti. 

Nonostante la paura, le umiliazioni e i lutti, Damiana continua a resistere. La sua speranza è quella di poter restare in quel piccolo fazzoletto di foresta verde che ha appena rioccupato. “Vogliamo dire a tutti che abbiamo deciso di resistere proprio qui, vicino al ruscello al margine della foresta, nella nostra terra rioccupata.”

All’inizio dell’anno i pubblici ministeri avevano ordinato la chiusura della Gaspem, descrivendo l’agenzia come una “milizia privata…che usa violenza contro i Guarani…per mano di persone violente assunte come ‘guardie di sicurezza’”.
Questa ritorsione è la risposta alla recente rioccupazione, da parte dei Guarani, di una porzione della terra ancestrale che circa 40 anni fa gli fu rubata per far posto a un allevamento di bestiame.
All’inizio di ottobre, infatti, circa 500 Guarani della comunità di Yvy Katu sono ritornati nella loro terra perchè incapaci di sopportare ulteriormente le squallide condizioni del piccolo appezzamento in cui hanno vissuto dal 2004.
Migliaia di Guarani brasiliani chiedono la restituzione della terra ancestrale secondo quanto garantito dalla costituzione. Tuttavia, il processo di mappatura del loro territorio ancestrale ha subito una battuta d’arresto, costringendo gli Indiani a sopportare malnutrizione, malattia, violenza e uno dei tassi di suicidio più alti al mondo.
Gran parte della terra guarani è stata trasformata in ampie piantagioni da cui compagnie straniere, come il gigante americano Bunge, ricavano canna da zucchero (*).
Numerosi sono i leader guarani assassinati dai sicari armati a seguito della rioccupazione di parte della propria terra ancestrale.

Il gigante alimentare americano Bunge si rifornisce di canna da zucchero nella terra ancestrale dei Guarani del Brasile. La compagnia, infatti, compra il raccolto dagli imprenditori agricoli che hanno aperto vaste piantagioni nella terra dove un tempo sorgeva la foresta della tribù. Gli Indiani sono stati sfrattati dalle loro case, e oggi vivono in condizioni terribili.
I Guarani della comunità di Jata Yvary denunciano che l’invasione di piantagioni di canna da zucchero, che alimenta l’industria brasiliana dei biocarburanti, li sta danneggiando seriamente. “Vogliamo preservare la foresta” dicono, “ma altri la stanno distruggendo per fare soldi illegalmente.”
Per favore, scrivi all’amministratore delegato di Bunge Brasile per chiedere che la compagnia smetta immediatamente di comprare la canna da zucchero coltivata nella terra guarani. Basteranno pochi secondi perchè il link sottostante ti porterà a un’e-mail già compilata e pronta per essere spedita. Grazie!
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martedì 5 novembre 2013

Morire di cancro a otto anni, per colpa dello smog

E’ la più giovane morta al mondo per cancro ai polmoni determinato dallo smog, in particolare il PM2,5.
L’avevamo immaginato, da tempo.  Ora lo sappiamo con certezza.
Lo smog provoca un aumento esponenziale del tumore al polmone, grazie alle polveri sottili.
Lo hanno affermato i risultati del progetto “Medparticles”, pubblicati su Environmental Health Perspectives.
Per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di tumore al polmone aumenta del 18%, mentre per ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10 aumenta del 22%: più le polveri sono sottili e più sono nocive, in poche parole.     E non sembra esserci una soglia sotto la quale l’effetto cancerogeno viene meno.
Forse in Italia, in Sardegna, non ci comportiamo in modo molto diverso.
Che cavolo di esseri umani siamo, in Cina, in Italia, in Sardegna?
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mercoledì 30 ottobre 2013

Uno studio belga sullo spreco alimentare nei supermercati: i consigli per ridurlo - Valentina Murelli

La quantità di cibo che si butta via è tutto sommato contenuta, ma si può ridurre ulteriormente. Sono queste in estrema sintesi le conclusioni di uno studio francese sugli sprechi da parte dei supermercati, realizzato dal Centro di ricerca e informazione delle organizzazioni dei consumatori del Belgio (Crioc). Si tratta di un’analisi qualitativa più che quantitativa, basata su una serie di interviste realizzate con i rappresentanti di 7 catene di supermercati situati nella regione di Bruxelles. Obiettivo: capire come si regola la grande distribuzione con i prodotti alimentari che, per varie ragioni (dalla prossimità alla data di scadenza a qualche difetto di confezionamento), non possono più esposti sugli scaffali.
Dalle risposte emerge una grande variabilità sul livello di sprechi delle catene: se alcuni affermano di non perdere praticamente nulla, per altri c’è ancora margine di miglioramento. Certo non è un dato quantitativo ma si tratta di un’indicazione generale, che sembra tuttavia in accordo con lo Studio preparatorio europeo 2010 sullo spreco alimentare, secondo cui i supermercati sarebbero responsabili soltanto del 5% di tutte le perdite. Del resto è logico che sia così. Per i supermercati gli sprechi sono costi e c’è tutto l’interesse a contenerli. Il primo passo è fare in modo che le derrate disponibili siano commisurate alla domanda dei clienti. Per ottenere questo risultato, la grande distribuzione si affida a sistemi logistici in grado di fare previsioni accurate sulle vendite e di gestire al meglio gli stock del magazzino. Non sempre queste procedure funzionano in modo ottimale, non riuscendo a valutare la riduzione dei clienti presenti a causa di condizioni climatiche particolari. Insomma, basta poco perché un punto vendita si ritrovi con un eccesso di prodotti freschi (pane, latte o altro) invenduti. I risultati dell’indagine pongono l’accento anche sull’abitudine molto diffusa di proporre ai clienti una discreta varietà di pane fresco alla sera che però rischia di restare invenduto…
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martedì 22 ottobre 2013

una mattanza dopo l'altra

I pescatori peruviani li chiamano sea-pig, maiali marini, e ne uccidono illegalmente a migliaia ogni anno allo scopo di farne esche per gli squali: un'indagine sotto copertura del giornalista inglese Jim Wickens per l'agenzia investigativa ambientale britannica Ecostorm, promossa dal Pulitzer Centre for Crisis Reporting in America, ha documentato una mattanza feroce e sistematica. In un'unica soluzione infatti, sullo stesso tratto di costa oceanica, si stermina una specie protetta, il delfino, al solo scopo di massacrarne un'altra, lo squalo, anch'essa minacciata e a rischio di estinzione. 
Imbarcati per alcuni giorni su un peschereccio, a seguito di lunga negoziazione con uno skipper che accetta di ospitare le riprese in cambio di carburante e la categorica promessa di mantenere segreta l'identità dei cacciatori di frodo, reporter e cameramen assistono impotenti all'avvicinarsi dei delfini. Un branco gioca festoso sulla scia della nave che lambisce il Pacifico, al largo della costa del Perù. L'allegria dei cetacei dura fino al primo arpione, che ne colpisce subito uno avvolgendo gli altri in una chiazza scura, fra le grida di giubilo dell'equipaggio. Tirato a bordo, l'animale viene fatto a pezzi mentre ancora si dibatte. Chenchos, maiali grassi! Grida la ciurma indicando i branchi di delfini in arrivo, pronti a essere trasformati in bocconi a costo zero e senza che i passeggeri possano obiettare…
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giovedì 17 ottobre 2013

Tecniche ingegnose dei popoli tribali (una bellissima galleria fotografica)

Millenni di immersione ininterrotta nella natura hanno permesso a molti popoli tribali di cogliere anche i segnali più impercettibili del mondo naturale.
Con acute osservazioni, le tribù hanno imparato a cacciare gli animali e a raccogliere radici e bacche commestibili, a percepire i cambiamenti climatici, a prevedere i movimenti delle lastre di ghiaccio, il ritorno delle oche migratrici e i cicli di fioritura degli alberi da frutto.
Alle sfide imposte da habitat diversi e spesso ostili, hanno risposto con sofisticate tecniche di caccia, inseguimento, allevamento e navigazione.
Lo sviluppo di queste conoscenze e abilità testimonia il potenziale creativo degli esseri umani e la loro straordinaria capacità di adattamento; ma ha permesso anche ai popoli tribali che possono continuare a vivere sulle loro terre utilizzando tecniche perfezionate nel corso delle generazioni, di essere generalmente sani, auto-sufficienti e felici.
Io sono l’ambiente ha detto Davi Kopenawa Yanomami. Sono nato nella foresta. La conosco bene.
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La plastica ritorna (indietro)

Uno studio bavarese dimostra come i rifiuti plastici rientrino nella catena alimentare, fino a tornare all'uomo. Tra i materiali maggiormente utilizzati nel campo degli imballaggi e dei materiali a contatto con gli alimenti c’è la plastica, grazie alle sue caratteristiche di versatilità e alla possibilità di impiego a diverse temperature. Ma prima o poi, anch'essa diventerà rifiuto, pericoloso se non gestito correttamente come dimostra una ricerca pubblicata qualche giorno fa sulla rivista scientifica Current Biology preceduta da un’analisi dell’Università bavarese di Bayreuth. Lo studio parla dei rifiuti dovuti alla plastica come di un problema crescente soprattutto per gli ecosistemi marini, ma non solo.
Le maggiori preoccupazioni riguardanol’abbondanza di analoghi microframmenti riscontrata all’interno del Lumbricus variegates, un vermicello parente del lombrico, che come habitat ha la superficie dei sedimenti delle acque dolci. Lo studio in questione ha preso in esame quelli che vivevano sulle spiagge lungo il lago di Garda. Un’abbondanza, secondo lo studio, paragonabile a quella che si riscontra negli oceani.
Il vermicello ha dimensioni ridotte (il trattino bianco in basso a destra equivale a mezzo millimetro e mostra la scala della foto), e piccoli o piccolissimi sono anche gli altri esseri viventi che abitano il Garda e che, hanno dimostrato i ricercatori, in laboratorio inghiottono i pezzettini di plastica così abbondanti nei sedimenti: pulci d’acqua, lumachine d’acqua…
Lungo la catena alimentare, la plastica ingerita dai vermetti e dagli altri piccoli insetti, passerà all’interno dell’animale che li catturerà e li mangerà, fino ad arrivare al vertice della catena alimentare: l’uomo, che ovviamente considera bocconi squisiti i pesci tipici del Garda: anguille, trote, coregoni…, come gli altri animali acquatici, sia d’acqua dolce che salata. Un rifiuto che viene rispedito al mittente insomma...

Dalle matite nascono i fior

“Piantate la matita nel vaso e dopo qualche giorno vedrete germogliare piantine di basilico, salvia, menta, timo, radicchio e persino fiori”. Non si tratta di una favola, ma quello che succede alla matita “Sprout”, progettata nel 2012 da un gruppo di cinque studenti della prestigiosa università Mit (Massachussets Institute of Technology) durante un corso di product design. L’idea è molto semplice: prendere una classica matita in legno di cedro e posizionare alla sua estremità, al posto della gomma da cancellare, una capsula con il seme di una pianta.
Quando la matita è quasi interamente consumata, invece di gettarla, si può inserire in un vasetto con un po’ di terra e, dopo avere innaffiato tutti i giorni, vedere nascere una piantina.
È molto importante – consigliano gli inventori – mantenere la terra umida, perchè la capsula si decompone a contatto con l’acqua e rilascia i semi iniziando così il processo di germinazione. Quando spunta il germoglio, il mozzicone di matita può essere rimosso o tenuto come etichetta, per ricordarsi il nome della pianta riportato sul legno…

venerdì 4 ottobre 2013

una telefonata speciale

"E' un mondo più bello quello in cui puoi abbracciare un Papa. Per me è stato come parlare a un amico". A ricevere la telefonata a sorpresa di Papa Francesco è Carlo Petrini, scrittore e fondatore di Slow Food. Venti minuti a parlare di ambiente, immigrazione, e degli umili del mondo.

Petrini, un'emozione non comune. 
"Sul cellulare mi è comparso all'improvviso un numero sconosciuto. Ho risposto, e dall'altra parte c'era Papa Bergoglio. Non ero affatto preparato, ma la semplicità con cui il pontefice è stato capace di instaurare un dialogo diretto mi ha messo subito a mio agio. Avevo inviato un libro al Papa...".

Il libro di Terra Madre?
"Sì, era il mese di luglio, quando il Papa è andato a 
Lampedusa. Assieme al libro gli avevo spedito anche una lettera e un articolo sui migranti piemontesi in terra d'Argentina, proprio come i genitori di Bergoglio. In un secolo, dal 1876 al 1976, dal nostro Paese sono partiti per l'estero 24 milioni di migranti. Di questi, 3 milioni hanno trovato casa in Argentina. Ed è esattamente ciò che avviene oggi con i nostri neri d'Africa: gli italiani morivano allora, come costoro muoiono oggi. Ma il Papa mi ha raccontato di suo padre...".

E cosa le ha raccontato?
"Nell'articolo parlo di un bastimento, il 'Principessa Mafalda', che nel 1927 partì da Genova e si inabissò poco lontano dalle coste brasiliane causando la morte di 314 migranti italiani. Bergoglio mi ha detto che suo padre sarebbe dovuto salire proprio su quella nave. Invece partì due anni dopo. Gli ho detto che io sono agnostico, ma che c'è un segno del destino se suo padre non salì sul Mafalda, di cui tutti, ancora oggi, in Piemonte hanno memoria"…

mercoledì 2 ottobre 2013

Grani naturalmente modificati e grani geneticamente modificati

mangio solo pane fatto con farina di grano  Senatore Cappelli, quando posso
scegliere io, quasi sempre, a anche la pasta, non troppe, ma ho scoperto chi
la produce.
chi non l'ha assaggiato, questo pane, ispirandomi a Beppe Viola, sono
"quelli che mangiano una pizza surgelata e, solo perche è prodotta in uno
stabilimento vicino a Napoli, credono che è la vera pizza napoletana".
ho fatto un collage di parole e link, sperando che chi legge si incuriosisca
e provi a dare un morso al pane che mi piace, certo qualcuno dirà che è
strano, come dicevano i miei alunni in gita a Londra, che lì parlano un
inglese strano, mica come la professoressa e come a scuola, ma poi tutto
diventa chiaro (speriamo).
mangiatene e godetene tutti - francesco


Il grano duro Senatore Cappelli

Si tratta di una varietà di grano duro. Ha preso il nome da Raffaele Cappelli, senatore che nei primi del Novecento promosse la riforma agraria e la ricerca sui grani duri e teneri. Per circa un secolo, questa varietà è stata molto coltivata. Negli anni ’70 scomparve quasi del tutto a causa della mutazione genetica cui fu sottoposto per ottenere la varietà Creso. Dopo un periodo di assenza, di recente la coltivazione è ricominciata in alcune regioni del Sud che puntano soprattutto alla salvaguardia della qualità. Il grano duro Senatore Cappelli può essere considerato un cereale “antico”, antenato del grano duro attuale, non contaminato da mutagenesi come molti altri cereali oggi coltivati. Per la sua altezza (160-180cm) e il suo apparato radicale sviluppato, soffoca le malerbe ed è quindi molto adatto per l’agricoltura biologica. La produzione è concentrata in Basilicata, Puglia e Sardegna.


dice Giuseppe Li Rosi, contadino siciliano
«Il consumatore – suggerisce Li Rosi – dovrebbe porsi una domanda, che è la stessa che si facevano gli uomini primitivi quando andavano alla ricerca del cibo: cos’è buono e cos’è cattivo, cosa mi permette di proliferare e cosa invece mi toglie energia». Il problema per l’agricoltore è che questa domanda non ce la si fa più «perché siamo talmente bombardati dalla pubblicità che ci siamo convinti di avere tutto il cibo a disposizione». Eppure, dice, «nessuno mai metterebbe nafta o benzina sporca nella propria macchina, ce ne guardiamo tutti bene, perché invece non pensiamo a cosa introduciamo nel nostro corpo?». E dà la colpa all’ingegneria sociale «che ha tagliato il rapporto con le tradizioni convincendo per 150 anni la gente che il prodotto industriale è quello più salubre, asettico, sano, e addirittura di moda, portandoci a comprare il cibo con gli occhi chiusi. Mentre prima si guardavano le mani di chi ti vendeva il pane e se aveva le unghia nere non lo si comprava».
Per Giuseppe Li Rosi scegliere i grani antichi significa dedicare più tempo alla ricerca del cibo. Invece di fare la corsa con i carrelli. «Ai primordi l’uomo dedicava tutta la giornata alla ricerca del cibo e fino a 60 anni fa si impiegavano ore in cucina. Oggi lo vogliamo portato fino a casa», dice. Lui concorda con il filosofo Ludwig Feuerbach che pensava che siamo ciò che mangi. «Infatti – dice – il nostro cervello si attiva in presenza di elementi chimici. Molti microelementi non si trovano più nel ciao e molte aree del nostro cervello sono disattivate. Per evolverci dobbiamo cambiare modo di vivere, pensare e di nutrirci».

(Siamo ciò che mangiamo - L.Feuerbach)

Per approfondire
http://www.glamfood.it/leggi_news.aspx?id=145

giovedì 19 settembre 2013

una pubblicità bellissima

a prescindere da altri discorsi, forse, questa è una gran bella pubblicità, secondo me.



mercoledì 18 settembre 2013

Negli spot dei «compro oro» le speranze tradite del Paese – Aldo Grasso

«Più Leali di così». Il cantante Fausto Leali ci ha messo la faccia, è il caso di dirlo, per sponsorizzare una catena di negozi di «compro oro». Ma anche Renato Pozzetto non è da meno. In uno spot che reclamizza un marchio dei «compro oro» recita la parte del nonno che si è venduto un orologio regalatogli dal figlio per comprare i doni di Natale ai nipoti. In un altro, sempre in coppia con il figlio, sostiene di essersi sbarazzato di qualche «cianfrusaglia d'oro» per acquistare un megaschermo: «Così quando sono a casa, anziché aprire il cassetto e guardare l'oro, guardo il televisore e mi diverto di più».

Beato lui che si diverte, perché i negozi di «compro oro», spuntati come funghi, sono uno dei segnali più laceranti della difficoltà che il Paese sta attraversando. Un italiano su quattro si è rivolto a un «compro oro nel 2013. Lo evidenzia il Rapporto Italia 2013 dell'Eurispes: in un anno, la percentuale è salita dall'8,5% al 28,1%. La crisi rimpingua gli incassi, i negozi del settore sono in crescita e la criminalità ha fiutato il business con una rete sempre più estesa di attività illecite. Lo confermano i dati della Guardia di finanza: nel 2013 sono stati arrestati 52 responsabili di traffico di metalli preziosi, oltre il 200% in più rispetto all'anno precedente.
Molte famiglie sono costrette a vendere gli anelli, le collanine, gli orecchini, gli orologi conservati per molti anni come piccolo tesoro di famiglia, spesso dall'alto valore simbolico. Le difficoltà economiche, il bisogno di denaro contante per arrivare a fine mese fanno sì che persone senza scrupoli ne approfittino per traffici illegali. E i poveri cristi che si vendono l'oro non lo fanno certo per portarsi a casa un nuovo televisore!
La figura del testimonial, una sorta di garante della pubblicità, è proprio quella di connotare positivamente un servizio davanti agli occhi «ingenui» del consumatore. Nessuno mette in discussione la buona fede di Leali o di Pozzetto (su grandi manifesti stradali sono apparsi anche Anna Falchi, Fabrizio Corona, persino, a sua insaputa, papa Francesco...) né la legittimità delle catene reclamizzate, ma un po' di sensibilità in questi casi non guasterebbe. Oro fa oro, ma lealtà fa lealtà.