martedì 5 settembre 2017

La storia infinita dei centri commerciali - Linda Maggiori


Ai piedi del Parco regionale dei colli Euganei, nel padovano, nei pochi chilometri che uniscono Monselice a Due Carrare rischia di aver luogo l’ennesima colata di cemento.Davanti al Castello del Catajo (complesso storico e monumentale), se il sindaco di Due Carrare non saprà opporsi al progetto, sorgerà un mega centro commerciale di 33mila metri quadrati e alto 12 metri. Un centro commerciale perfettamente inutile, visto che a pochi chilometri esiste già l’Ipercity di Albignasego. Ma non basta, nella stessa zona c’è in progetto la creazione della terza corsia dell’A13 per uno sviluppo complessivo di circa 12.25 km che produrrà 130mila metri quadrati di cementificazione in un territorio che ha già dimostrato in modo grave la sua fragilità idrogeologica. Infine, come se non bastasse verrà realizzato un polo agroalimentare a Monselice, nonché altre opere di viabilità conseguenti. Contro queste opere inutili protestano non solo ambientalisti, lanciando una petizione on line, ma anche sindaci dei comuni limitrofi e commercianti che temono ripercussioni al turismo culturale, ambientale e al commercio locale..La creazione dei grandi centri commerciali implica più traffico, più motorizzazione, più strade, più rifiuti. Invece di comprare il pane dal fornaio sotto casa (o di autoprodurlo con la farina del contadino locale), prendo l’auto e vado a 10-20 km di distanza, al centro commerciale. Compro pane che viene da lontano, imballato, industriale. Una volta dentro non so resistere e mi riempio il carrello. Non ne avevo poi così bisogno? Pazienza, tanto ci sono gli sconti, e poi… sono venuta in auto.Il dio della crescita ringrazia. Campi, alberi, acqua, aria, immolati ad esso. È per il lavoro, dicono in tanti. Falso. Per ogni posto creato dall’ecomostro, se ne perdono da quattro a sei nel commercio locale. Inoltre, dovremmo sempre ricordarci questo piccolo dettaglio: in un pianeta morto, non c’è lavoro per nessuno.Più lavoro ci sarebbe se al posto di un centro commerciale si incentivassero i piccoli commercianti, l’artigianato locale, il turismo ecologico e culturale, l’agricoltura rispettosa dell’ambiente,  i mercatini diretti dei produttori. Più lavoro ci sarebbe se si permettesse ai sindaci di convertire i terreni edificabili in terreni agricoli (ma di questo non c’è traccia nel disegno di legge contro il consumo di suolo fermo in Parlamento). Più lavoro ci sarebbe se al posto di nuove strade e autostrade, si incentivasse il trasporto pubblico locale e la mobilità ciclabile e pedonale: ogni milione di euro investito sulla mobilità ciclabile genera infatti dieci posti di lavoro, contro i 2,5 posti nel settore automobilistico (Dumond et alii, 2009; ministero dei Trasporti francese).Ma in Italia si corre al contrario. Ad aprile 2017, quando si scoprì che erano state immatricolate 4,6 per cento auto in meno rispetto all’aprile dell’anno precedente, gli economisti si strappavano i capelli al grido “recessione!”. A maggio 2017 quando furono immatricolate 204mila vetture, ben l’8,2 per cento in più del maggio dell’anno prima, tutti esultarono l’”auto riprende a correre!”. In generale comunque, più auto per tutti sia nel 2016 sia nel 2015. Nel 2016 il traffico su gomma in autostrada è salito del 3,3 per cento rispetto all’anno precedente. Stiamo andando nella direzione giusta, non c’è dubbio.
Quando un settore è in crisi, benché terribilmente inquinante, tutti corrono a sostenerlo. Il caso del cementificio di Monselice è emblematico. Recentemente è passato di proprietà a Buzzi Unicem, che sembra intenzionato a utilizzare combustibili solidi secondari (Css) per abbattere il costo dei combustibili derivati dal petrolio, vista la crisi del settore del cemento (secondo Aitec dal 2008 è stato perso il 60 per cento della produzione). Di fatto, bruciano rifiuti al posto del petrolio. Dalla padella alla brace, sia per l’ambiente sia per la salute.
Di nuovo, il dio della crescita (e il riscaldamento climatico) ringraziano.
La gente per fortuna scende in piazza e protesta. Eppure, protestare e scendere in piazza contro questi ecocidi non basta. Dobbiamo protestare ogni volta che mangiamo, che acquistiamo, che ci muoviamo. Dobbiamo essere una protesta vivente, un’obiezione di coscienza permanente: boicottare i centri commerciali, comprare nei mercati locali, dai produttori diretti, andare in bici, in treno, in bus. Noi cittadini abbiamo un potere enorme. Usiamolo.
Dobbiamo e possiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo (cit. Mahatma Gandhi).

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