lunedì 11 settembre 2017

Airbnb riempie Matera di turisti ma la svuota di abitanti - Giada Zampano


Nicola Frangione comprò la sua casa nei Sassi di Matera per 80 milioni di lire. Era il 1981 ed era un prezzo carissimo per quegli anni. Ora ha messo un cartello con l’annuncio per la vendita a 1,7 milioni di euro. Professore di inglese in pensione, a settant’anni ha deciso che è tempo di lasciare quel palazzetto a quattro piani in cui ha ricavato, al piano terra, un appartamento per affittarlo ai turisti su Airbnb.
La decisione di abbandonare la casa è sofferta, ma il professor Frangione non riconosce più quel rione quasi disabitato in cui si trasferì più di trent’anni fa e dove sua moglie Anna Grazia, alla fine degli anni ottanta, era ancora l’unica donna.
“Sono stato uno dei primi a comprare nei Sassi”, dice orgoglioso, indicando la casa di tufo immersa nel centro storico della città lucana, ormai famosa in tutto il mondo per le sue abitazioni scavate nella pietra e abbarbicate lungo i pendii del profondo canyon della Gravina. Da una finestra ci si affaccia sul rione Malve, da un’altra si vede la chiesa della madonna dell’Idris, scavata nello sperone roccioso della rupe Monterrone.
“Di questa casa amavo il fatto che fosse tutta aperta, tante finestre e poche barriere”, racconta Frangione. “Quando nel quartiere eravamo in pochi, c’era un forte senso del vicinato, condividevamo il cortile e durante le feste mangiavamo spesso insieme. Ci parlavamo dai balconi, senza neanche dover alzare la voce. Amavo sedermi sulla sedia a dondolo nel mio studio, tra i libri antichi, ascoltare un po’ di musica e qualche voce che veniva dall’esterno”.
Ora dalla finestra guarda scoraggiato gli sciami di turisti che passeggiano lungo la strada bianca, una delle principali e delle poche in cui possono circolare anche le automobili. “Da negozi e ristoranti fischiano tutto il giorno per attirare l’attenzione dei visitatori. Si è persa l’anima di questo posto”, dice Frangione. “Gli abitanti sono ormai pochi, il resto sono tutti bed & breakfast”.
A Matera, il 25 per cento delle case nel centro storico è affittato ai turisti con Airbnb. Una percentuale che esemplifica l’impatto dell’azienda sulle città studiato da tre ricercatori del laboratorio dati economici, storici, territoriali dell’università di Siena (Ladest). Stefano Picascia, Antonello Romano e Michela Teobaldi sono partiti da dati raccolti tra il 2015 e il 2016 su 13 città italiane, da nord a sud. “Il quadro generale è quello di una progressiva trasformazione dei centri storici in hotel, con il rischio che vengano progressivamente abbandonati dai residenti e si trasformino in spazi usati quasi esclusivamente dai turisti, finendo per perdere la loro autenticità”, dice Romano.
Matera non è l’unico esempio di centro storico colonizzato dall’azienda. A Firenze, le case del centro storico affittate su Airbnb sono il 18 per cento del totale, mentre nel centro storico di Roma sono l’8 per cento.
“In molte città l’offerta è concentrata dentro e intorno ai centri storici”, commenta Romano. “Ma in altre, come Siena per esempio, abbiamo osservato un aumento dell’offerta al di fuori del centro storico, e a questo aumento è corrisposto un aumento della domanda”.
Airbnb, azienda fondata a San Francisco nel 2008 sull’idea degli affitti peer-to-peer, si è sviluppata in tutto il mondo, con particolare successo anche nel nostro paese. L’Italia nel 2015 era al terzo posto per numero di annunci nel mondo, con 83mila host (utenti della piattaforma che condividono le proprie abitazioni) e 3,6 milioni di visitatori all’anno, secondo i dati resi noti dall’azienda.
Chi guadagna davvero
La diffusione di Airbnb nelle città italiane è correlata all’evoluzione dei flussi turistici. Quello che succede a Matera ne è un esempio lampante. Dopo l’iscrizione nella lista dell’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità nel 1993 e la sua nomina a capitale europea della cultura per il 2019, la città ha registrato un picco di visite senza precedenti: 152 per cento in più rispetto a sette anni fa, secondo i dati elaborati dal centro studi turistici di Firenze. Questa crescita ha avuto dei costi sociali e umani.
“Anch’io rimpiango la vita del vicinato”, dice Chiara Paolicelli, maestra elementare di 64 anni, spiegandomi che nel lessico familiare di chi ha vissuto nei Sassi a partire dalla loro riqualificazione, alla fine degli anni ottanta, quella parola indica ancora il centro vitale di una vita quotidiana basata sulla solidarietà e sul mutuo soccorso.
La signora Paolicelli ha comprato la sua casa nel 1990 e resiste faticosamente tra i pochissimi abitanti del centro storico. Anche lei affitta su Airbnb quella che chiama “la grotta” al piano terra della casa in cui vive: una camera da letto, un cucinotto e un salottino scavati nella roccia, con piccoli lucernari al livello della strada.
 “Siamo invasi dai turisti e in parte è una cosa buona”, dice. “Ma si tratta di un turismo mordi e fuggi, che non capisce le potenzialità di questa città”, aggiunge, annunciando con un sorriso l’arrivo di una famiglia che resterà per due settimane, usando Matera come base per visitare i dintorni.
“Affittare la grotta come casa-vacanze è l’unico modo per tenerla in vita”, spiega, aggiungendo che in origine era una cantinetta e che l’umidità l’avrebbe rovinata. L’affitto su Airbnb le frutta circa 3-4mila euro in un anno, e a volte pensa che non ne valga la pena. Anche suo figlio Nando affitta un appartamento ai turisti per periodi brevi. Si è trasferito poco fuori dei Sassi quando è nata la sua seconda figlia.
“La gestione è molto faticosa. Bisogna preparare tutto, fare le pulizie, e poi gli ospiti arrivano e ripartono a tutte le ore”, dice la signora Paolicelli, che sta pensando di lasciare il suo appartamento a una persona che si occupa di più case in affitto, una nuova figura professionale nata con Airbnb.
Il paradosso
Il caso di Chiara Paolicelli mostra bene gli effetti di quello che i ricercatori del Ladest di Siena hanno indicato come il paradosso di Airbnb: l’azienda è diventata uno dei pilastri della sharing economy, ma con il passare del tempo ha finito per generare guadagni sempre meno condivisi e li concentra nelle mani di pochi.
Secondo la ricerca, la fetta maggiore dei ricavi se la aggiudicano pochi inserzionisti multipli che affittano più appartamenti, oppure mediatori e agenzie immobiliari specializzate. A Firenze, gli host in media guadagnano 5.314 euro all’anno, ma secondo i dati elaborati dai ricercatori uno solo ne ha incassato oltre 700mila. A Milano il divario è ancora più elevato: gli oltre quattromila proprietari di appartamenti messi in affitto guadagnano in media 1.600 euro all’anno, ma uno solo supera il mezzo milione.
La normativa introdotta dal governo come primo tentativo di regolare Airbnb in Italia, impone il pagamento di una cedolare secca del 21 per cento sugli affitti realizzati tramite piattaforme di condivisione. Secondo i tre ricercatori del Ladest, questa tassa potrebbe far aumentare il divario tra gli host: “I piccoli, quelli con un solo annuncio, potrebbero cancellarsi dal sito, perché non lo troverebbero abbastanza vantaggioso”.
Per il professor Nicola Frangione il valore aggiunto nell’affittare parte della propria casa non è economico, visto che non si guadagnano cifre altissime. “L’aspetto più bello è che si finisce per conoscere gente molto diversa. Molti si fermano a mangiare con noi, ad assaggiare i prodotti della nostra terra”, dice. “Si stabilisce un’amicizia, si instaura un dialogo, e questo è gratificante”, dice. Ma aggiunge: “A cosa rinunciamo per avere questo? Il costo sociale è elevato. Se continuiamo così, qui si creerà un deserto”.
Carlo Pozzi, che ha vissuto a Matera per diciotto anni e che negli anni settanta partecipò a un progetto sperimentale per ripopolare i Sassi, non cede invece alla nostalgia per la “città dei vicinati” – “una realtà legata all’estrema indigenza dei suoi abitanti”, dice – né alla colpevolizzazione dei residenti che affittano su Airbnb.
“Prima di Airbnb, negli anni novanta, ci fu la proliferazione dei pub. Anche quella fu un po’ goffa, pasticciata”, racconta, “ma non possiamo guardare al turismo di massa solo come a un elemento negativo. È senza dubbio un’importante occasione di lavoro per i giovani materani”.
Secondo Pozzi, che insegna composizione architettonica e urbana all’università di Pescara, la questione cruciale è che “ci sia una gestione culturale di questo fenomeno, che si riesca a connettere cultura ed economia”.
Pozzi ricorda com’è cambiata l’immagine dei Sassi, a partire dal 1964, anno in cui Pier Paolo Pasolini vi girò Il vangelo secondo Matteo: “Li aveva tenuti rovinati, sporchi, a espressione del pauperismo che voleva raccontare”. Negli anni successivi, con le grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane (King Davidcon Richard Gere nel 1985, e La passione di Cristo di Mel Gibson nel 2004), i Sassi cominciano a essere abbelliti.
“È un cambiamento importante”, dice Pozzi. “Ora, però, bisogna evitare che b&b e hotel diffusi si sovrappongano ai Sassi. Altrimenti il centro storico di Matera diventerebbe una qualsiasi Ibiza, di grande successo turistico, ma senza più una sua identità”.
Un equilibrio difficile
In questo centro storico, intanto, non sembra esserci molto spazio per le librerie. La Mondadori che da 17 anni si affacciava su via del Corso deve traslocare perché l’affitto è più che raddoppiato. Una storia simile era successa due anni fa alla libreria dell’Arco, che si è spostata in una sede più lontana dal centro proprio per risparmiare. Al suo posto ora c’è un ristorante.
“Quello che mi preoccupa di più è che i materani si stiano tutti improvvisando imprenditori, ma senza un vero piano, un disegno che vada oltre il profitto immediato”, dice Antonio Sacco, 49 anni, titolare della libreria Mondadori. “Il risultato”, aggiunge, “è un’offerta eccessiva di b&b, bar e ristoranti, che ha snaturato la città e stride in modo paradossale con il titolo di capitale della cultura nel 2019. Si rischia di sprecare una grande occasione per far prevalere la logica del tutto e subito”.
Giovanni Semi, professore di sociologia delle culture urbane all’università di Torino, ha esplorato il fenomeno dell’omologazione delle città nel suo Gentrification. Tutte le città come Disneyland?.
Il turismo come punta di diamante dell’economia ha cambiato la faccia delle città, sostiene Semi. “Turisti e viaggiatori visitano sempre più città. È molto più facile spostarsi e sempre meno costoso, e gli shock culturali sono sempre meno forti”, spiega. “Quello che i turisti non vedono è lo svuotamento dei centri storici e la loro omogeneizzazione. È come se fosse stata passata una mano di bianco sulle città, rendendole tutte uguali”.
Matera è in questo momento quello che era Venezia vent’anni fa. In quel caso il dibattito sulla trasformazione della città in pura meta turistica c’è stato, ma non ha prodotto politiche efficaci in grado di regolare il turismo di massa e preservare la sua identità.
“Tra qualche anno saremo ancora patrimonio dell’umanità?”, si chiede il professor Frangione. Al calare della sera, sotto la sua casa di tufo, tra i vicoli stretti dei Sassi, ritorna il silenzio. I turisti sono ormai seduti ai tavolini dei bar e dei ristoranti che si alternano ai banchetti di souvenir, tutti uguali.

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