lunedì 24 aprile 2017

La moltiplicazione degli orti comunitari - Alessandra Magliaro

Salvaguardare la Terra patrimonio comune nell’epoca in cui è diventata bene di mercato da sfruttare, oggetto di speculazione economica – il land grabbing e le monoculture tra i tanti esempi possibili – significa ripensarne l’approccio recuperando la biodiversità e abitandola in modo più sostenibile. Molte cose da qualche anno si stanno facendo in questa direzione, basti pensare alla mobilità, con la produzione di auto ibride o elettriche o sharing, alla lotta contro lo spreco di cibo. Sono temi questi su cui siamo diventati – al di là e a dispetto di leggi esistenti o mancanti – in generale tutti molto sensibili e vanno ricordati in occasione della Giornata della Terra.
Orientare lo stile di vita in un modo più green è una tendenza trasversale esplosa in questi anni. Pratiche da cominciare fin da bambini – leggi qui – e da proseguire da adulti magari anche facendo la spesa in modo diverso e più consapevole di prima – leggi – o curando il corpo con la cosmetica organica e biodegradabile.
Tra i fenomeni più attuali in tutto il mondo, Italia compresa, c’è questo ritorno alla terra, questa voglia di contatto con la natura, sporcandosi le mani di terreno, che coinvolge soprattutto le popolazioni delle grandi città: diventare o ri-tornare contadini, fosse anche nel tempo libero, non è una moda ma un modo consapevole di guardare al verde come un qualcosa di cui prendersi cura, riconnettere la campagna alla città.
Recuperare gli spazi urbani in modo ecologico con gli orti urbani e comunitari, ormai presenti in tutta Italia – secondo l’ultimo rapporto Istat sul verde urbano, datato novembre 2016 , offrono in gestione orti urbani 64 capoluoghi (più 27,3 per cento di superficie in quattro anni) e 30 assegnano la manutenzione di aree verdi ad associazioni o cittadini – è una grande tendenza di questi anni con un valore molteplice.
Gli orti condivisi soddisfano in città il desiderio di natura innanzitutto, orientano all’autoproduzione – si comincia piantando pomodori, si prosegue facendo il pane in casa o viceversa in un circolo comunque virtuoso – soddisfano il bisogno di cibo buono e non sofisticato per lo più a chilometri zero e, elemento da non sottovalutare, recuperano quella socialità che è diventata ormai un bene tra i più preziosi. Gli orti comunitari svolgono per questo una nuova, realistica, funzione di ‘piazza’, spazi comuni di aggregazione, sezioni di territorio sottratte al degrado oltre che territoriale anche sociale.
Dice Giorgia Bocca, che con Terra!Onlus ha realizzato tanti progetti di orti comunitari – come quello a Lampedusa P’Orto o a Genova nel Parco Urbano di Valletta Rio San Pietro Cornigliano – ”con lo sviluppo dell’industrializzazione e lo spostamento in massa dalla campagna alla città l’agricoltura di sussistenza e di produzione è entrata in crisi e ha spostato fisicamente e psicologicamente filiere, ha aumentato i consumi ed ha anche disgregato comunità e tradizioni portando a quella che viene definita “estinzione dell’esperienza”. Città e campagna non alleate producono schizofrenia e la mancata progettazione favorisce sistemi non sostenibili. Il riconoscimento dell’importanza degli orti urbani e l’esigenza di contenerne gli aspetti di spontaneità e abusivismo si è tradotto poi nella redazione dei primi regolamenti, contenenti i criteri per l’assegnazione di aree orticole ai cittadini interessati da parte delle amministrazioni comunali. L’agricoltura urbana quindi subisce nuovamente una forte espansione negli ultimi anni, complice la crisi che ha alimentato questo fenomeno. Una crisi d’ identità culturale, di comunità ed economica. In numerose città italiane, infatti, sono visibili movimenti organizzati di gruppi formali e informali, singoli e famiglie che realizzano in quartieri, parchi e luoghi “dimenticati” progetti di orti comunitari o individuali spesso realizzati in modo spontaneo ma per lo più conformi alle normative locali. Le politiche ambientali e le strategie di pianificazioni da parte di Comuni e Amministrazioni stanno cercando di andare incontro al fenomeno in costante aumento di richieste di accesso alla terra da parte di giovani e ai disoccupati. Siamo di fronte ad una cittadinanza più attiva e consapevole che cerca di appropriarsi degli spazi e degli usi del proprio territorio, creando una forma nuova di partecipazione e di benessere alla realizzazione di un bene comune mediante un approccio ecologico che comprende l’uso sostenibile delle risorse e delle coltivazioni e la costruzione di relazioni per lo scambio di buone pratiche”.

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