sabato 26 marzo 2016

L’amore mio non può morire - Patrizia Cecconi



Lui è il contadino Salah Abu Ali di Al Walaja. Si presenta così, semplicemente.
Al Walaja è un villaggio con una storia tormentata. Si trova pochi chilometri a sud di Gerusalemme e questo, da molti decenni, non è un buon segno per la sua tranquillità. Nel 1948 venne raso al suolo e i suoi abitanti, cacciati, lo ricostruirono poco distante. Ma circa venti anni dopo venne nuovamente occupato e stavolta venne diviso in due. Una parte annessa da Israele, ma solo come territorio perché agli abitanti neanche venne dato diritto di cittadinanza, l’altra parte restò territorio palestinese, ma comunque sotto occupazione.
La storia d’amore è nata molti anni fa ed è una storia strana. E’ l’amore tra Salah Abu Ali e Umm Zeitun che qualcuno chiama anche Khetiara o Arusa Filastin.
Umm Zeitun, per il contadino di Al Walaja, è molto più di una donna, e dice sorridendo che sua moglie ne è gelosa. Ma il suo è un amore spirituale ed è così radicato, in senso proprio, che lui ne è stato catturato a 13 anni e resterà per la vita il compagno di questo straordinario essere vivente e il suo protettore.
Umm Zeitun, spiega Salah mentre camminiamo per i viottoli della campagna fiorita di Al Walaja, non è una donna, è un albero. Ma non è un albero normale. Non lo è già per la sua forma e per la sua età, pare abbia 3.500 anni. Ma soprattutto non lo è per quel che racconta il suo amante, cioè colui che lo ama e che se ne sente corrisposto.
Salah Abu Ali è convinto che Umm Zeitun abbia un’anima e che ci sia un sentire comune tra lui e questo incredibile, grandissimo e vecchissimo albero, testimone oculare – come lui lo definisce – di amori e dolori, di battaglie, di conquiste e di sconfitte.
Salah si considera suo compagno e protettore come già lo era stato suo padre e prima ancora suo nonno e come poi lo sarà uno dei suoi figli.Protettore di un albero di olivo come io non ne ho visti mai. Quello che appare davanti a me è una specie di piccolo bosco con al centro l’albero madre,con un tronco enorme ma non rotondo. Sembra una porta e tutt’intorno i suoi figli, alcuni centenari, altri più giovani, ma tutti nati dallo stesso ceppo ed ancora strettamente legati all’albero madre.
Salah si appoggia a uno dei tronchi e comincia a parlare. Parla del suo rapporto con l’albero cui dedica diverse ore al giorno, come un uomo innamorato parlerebbe della sua donna. Capisco perché sua moglie ne è gelosa!
Ho visto alcuni rari esemplari di olivi millenari in Italia, in Grecia, in Palestina, ma non ho mai visto un albero come questo. Se non fosse per le foglie non lo riconoscerei come olivo, né per la forma del suo tronco, né per la corteccia. Mi dice che è una specie rara, si chiama “hawari” e dice che è nato qui e, che lui sappia, non ci sono altri esemplari in Palestina. Pare non sia mai stato attaccato da nessun parassita al contrario di tutti gli altri olivi, compresi quelli che si trovano a poche decine di metri.
Salah Abu Ali, mentre parla, ha un atteggiamento a metà tra l’ascetico e l’innamorato e dice che secondo lui quest’albero è sopravvissuto a tutto perché così vuole Dio. Non ha dubbi che sopravvivrà anche al maledetto muro che vuole strozzare Al Walaja per unire le due illegali appropriazioni di terra, dette colonie di Gilo e Har Gilo che servono a Israele per espandersi su terra palestinese realizzando il suo progetto originario.Il muro, se nessuno fermerà Israele, passerà a 20 metri da Umm Zeitun le cui radici hanno un’estensione di 25 metri. Quindi le danneggerà, forse le farà morire.
Salah ignora con un sorriso il mio pessimismo perché è convinto che non sarà così. Mi ricorda che siamo a 900 metri di altezza e che tutti gli inverni nevica e che nel corso dei secoli ci sono state molte gelate e mi ricorda che gli olivi temono il gelo, ma non Umm Zeitun che, secondo lui, ha una sorta di spirito protettivo che non ne ha mai consentito la morte, e sarà ancora così.
Poi parla di un rituale, al aqiqah, che si fa quando nasce un bambino. Al aqiqahè una sorta di festa in cui si consuma un pasto tutti insieme ed ha la funzione di allontanare il male dal neonato. Pare che l’ombra protettiva di questo immenso albero sia il posto prescelto per al aqiqah perché la sua energia positiva sarebbe in grado di trasmettersi al nuovo nato.
Devo dire che i racconti di Salah fanno a pugni con la mia razionalità, ma il piacere di ascoltare quest’uomo, innamorato di questo strano e straordinario figlio della sua terra, e il tono con cui ne parla mi ipnotizzano un po’, e resto a sentire. Mi chiedo come mai Israele, che ha estirpato migliaia di olivi, questo non l’abbia scoperto. Immagino che ne avrebbe fatto un proprio luogo di attrazione come già successo in altri casi. Espongo il mio pensiero e Salah semplicemente sorride. Il suo sorriso mi contagia e penso alle sue parole di poco fa: “quest’albero ha un suo proprio spirito e mai nessun parassita lo ha attaccato”. Questo è vero ed è incredibile. Io lo trovo incredibile sul piano scientifico, ma lui non si fa problemi di scienza, dice che semplicemente così vuole Dio e mi ricorda che l’olivo è albero sacro per il Corano.
In realtà l’olivo è sacro per tutte le culture del Mediterraneo, e tutte le culture mediterranee antiche hanno finito per confondersi con le religioni, a partire dall’antica Grecia dove l’olivo veniva considerato il dono della dea Atena agli umani.
Salah Abu Ali dice che Umm Zeitun produce olive grandi, circa 6 quintali negli anni buoni, e olio ottimo che, soprattutto in passato, veniva usato anche come medicinale. Mi dice che le sue foglie vengono usate in tisana per abbassare gli zuccheri nel sangue e che ogni cura che lui, Salah, offre a questo oggetto del suo strano amore viene ricompensata dai regali offerti dall’albero.
Ormai si sta facendo sera e come ogni contadino mediterraneo, di entrambe le sponde, Salah non ci lascia andare senza averci ospitato in casa dove i regali di Umm Zeitun arriveranno su un vassoio per un assaggio che è un piacere per gli occhi prima di esserlo per il palato.
Questa è la Palestina.
Salah Abu Ali, contadino di Al Walaja, villaggio costantemente minacciato da Israele, ci ha offerto nella sua semplicità l’immagine più spirituale della sacralità della terra attraverso un suo figlio speciale: l’olivo che ha resistito ad ogni attacco per 3500 anni e che secondo lui resisterà ancora alla tracotanza israeliana, perché non è un semplice albero, ma un essere vivente che ha assorbito in sé lo spirito della natura e la memoria del tempo.

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