venerdì 12 dicembre 2014

La terra piange le guardie indigene - Pueblos en Camino

Questa lettera aperta, sull’uccisione di Guardie Indigene da parte delle FARC-EP presso Toribío-Cauca, (avvenuta durante i negoziati tra FARC e Governo (1) che si stanno svolgendo a l’Avana – e precisamente mentre viene affrontato il tema delle vittime del conflitto ed in contrasto con le dichiarazioni espresse da entrambe le parti), mette in evidenza come la spoliazione, il dolore e la morte dei popoli, nello specifico di quelli indigeni, è funzionale oggi come ieri all’interesse di coloro che disprezzano sia i popoli sia il loro giusto dolore e rabbia.
La Lettera rimane aperta per poter essere sottoscritta. È stata pubblicata il 9 novembre con le prime firme, al fine di condividerla con le comunità colpite durante l’Assemblea che si terrà nel territorio Nasa di Toribío il giorno della sua pubblicazione. Continuano ad arrivare centinaia di firme e viene aggiornata nella misura in cui si aggiungono nuove adesioni. Malgrado la censura nei confronti delle comunità, questo messaggio sta pervenendo alla Guardia. Sostieni e condividi quanto viene detto in merito al sopruso degli uni e al dolore degli altri. Questo messaggio è ancora più rilevante e significativo dopo le dichiarazioni delle FARC e dell’Acin rispetto a questi fatti:
“Abbracciamo e appoggiamo la Guardia Indígena del Cauca: la Nostra Guardia Indígena. I familiari, gli amici e la comunità. In questa guerra contro i popoli, voi continuate ad andare avanti dando l’esempio di una lotta che nasce dalla terra contro quelli che, da qualsiasi parte provengano, vogliono approfittare delle nostre cause per derubarci e sottometterci. Voi rappresentate il cammino della parola degna. Vogliano e dobbiamo essere come voi e assieme a voi. La vostra pace nella libertà è, per tutte e tutti, l’unica pace. Manuel Antonio Tumiñá Gembuel, Daniel Coicué Julicue e José Libardo Pacho, oggi vengono restituiti alla Madre Terra, a colei che hanno difeso, di fronte a voi, di fronte all’assassinio che ha spezzato le loro vite; qui, nel giorno in cui come sementi fanno ritorno alla Terra, affermiamo che con il loro esempio esigono da noi la dignità e il dovere di proseguire tutte e tutti, con la parola e con l’azione, nello spirito dei popoli: Essere Guardie Indigene.”
  Pueblos en Camino

Uma Kiwe piange di rabbia e dolore mentre uccidono le Guardie Indigene
(Di fronte all’omicidio di due Guardie Indigene Nasa del Cauca da parte delle FARC)

           “Voglio scavare la terra pezzo per  pezzo
              con morsi secchi e impetuosi
                e toglierti il bavaglio e riportarti  indietro
 Mi duole più la tua morte che la mia vita”
Miguel Hernández

Uma Kiwe, la Madre Terra, piange. Proprio in questo momento sta piangendo. Piange il C’xab Wala Kiwe (Territorio del Gran Pueblo), piange di rabbia e di dolore il popolo Nasa, le figlie e i figli del Cauca. Anche noi piangiamo e anche noi proviamo rabbia, molta rabbia. Manuel Antonio Tumiñá Gembuel di 42 anni e Daniel Coicué Julicue di 63 anni, Guardie Indigene, eroi senza fama né gloria, senza vanità né arroganza, fratelli e compagni anonimi e appartenenti alla comunità, persone come noi, quando siamo ciò che in dignità dobbiamo essere, sono stati assassinati dalle FARC. Assassinati a sangue freddo, con colpi di fucile a distanza ravvicinata, a mezzogiorno, lungo il sentiero del villaggio di Sesteadero, che fa parte del territorio ancestrale e sacro di Toribío, nel Cauca del Popolo Nasa.
Non dimenticheremo mai, MAI!
L’immagine del nostro compagno morto, avvolto nei colori del CRIC [2], con accanto il suo bastone e con il suo/nostro sangue che bagna la terra da lui difesa con dignità e alla quale, prematuramente e ingiustamente, fa ritorno come figlio esemplare. Non dimenticheremo mai. Così come non dimentichiamo il pianto che in questo stesso momento proviene da Uma Kiwe, Wallmapu, Pacha Mama, Abya Yala per i suoi figli uccisi e scomparsi. Siamo vita. Per questo motivo ci ingannano, ci derubano e ci uccidono.
I negoziati che si tengono a l’Avana tra il Governo Colombiano e le FARC entrano nella loro fase finale. Si affronta la questione delle vittime. Delegazioni che le rappresentano sono in viaggio per incontrarsi con i portavoce di entrambe le parti. Per la prima volta nella loro storia, le FARC riconoscono pubblicamente le vittime delle loro azioni e di persona chiedono perdono ad alcune di esse e ai loro familiari.
In questo contesto, però, danno ordine di occupare il territorio indigeno del Cauca usando propaganda armata come se fosse la loro terra e come se le comunità avessero il dovere di sottomettersi ed obbedirgli su una terra che invece appartiene a loro e che hanno sempre difeso contro ogni invasore. L’occupazione comprende enormi cartelli pubblicitari con l’immagine del loro comandante Alfonso Cano, nell’anniversario della sua morte.
Le comunità e la Guardia Indigena con i loro “bastones de mando” e con la loro autorità che non prevede l’uso di armi, esigono rispetto e ordinano di togliere la propagaganda ed andarsene.

Non obbediscono. La Guardia e le comunità tolgono i cartelli, li stanno togliendo, continuano a toglierli e a testa alta e con una coscienza retta respingono l’oltraggio. Se non lo avessero fatto, avrebbero smesso di essere Nasa, figli della terra. A Toribío, i guerriglieri uccidono a colpi di fucile e a distanza ravvicinata due Guardie Indigene. La sepoltura provoca un dolore e una rabbia che rimangono impressi nelle immagini dei media. Sappiamo che le FARC si servono delle trattative con il Governo per appropriarsi e sottomettere territori, come parte del bottino derivante dai negoziati i quali non fanno alcun cenno al modello di espropriazione. Sappiamo che ciò esige la difesa territoriale pacifica e conduce alla codarda uccisione delle Guardie. Sappiamo che il dolore e la rabbia del Popolo Nasa e il processo agli autori materiali e ai comandanti delle FARC che hanno dato l’ordine di oltraggiare il territorio, sottomettere la popolazione e uccidere, costituiscono il cammino da percorrere...

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