mercoledì 27 agosto 2014

Ulisse, quel micio migrante sbarcato insieme ai profughi - Silvia Ferraris

Per Gianluca Brafa, 30 anni, veterinario a Pozzallo, è stata «la prima volta». Stanotte alle 23 gli è arrivata una «strana» telefonata dalla Polizia: «Venga subito al porto, c’è bisogno della sua assistenza». Sull’ultimo barcone di immigrati, in tutto 500 giunti per lo più da Egitto e Siria, c’era anche Ulisse (n.b., il nome è di fantasia), un gatto, grande e bianco, piuttosto denutrito come tutti gli altri compagni di viaggio, e bisognoso di cure. «Quando ho sentito la telefonata» racconta Gianluca Brafa «ho creduto a uno scherzo. Spesso, al numero del pronto soccorso, arrivano le chiamate dei ragazzini». Invece era tutto vero. 

Il gatto era di una donna siriana di 35 anni e del fratello di quest’ultima, gravemente disabile. «Il felino era il compagno di giochi del ragazzo. I due fratelli, in fuga dalla Siria, lo avevano messo dentro un trasportino, e avevano preteso di portarselo appresso, nonostante le condizioni disagiate del viaggio» dice il veterinario di Pozzallo. «Sono salito sul rimorchiatore, tra centinaia di persone, e altri medici» - racconta Brafa, «e me lo sono trovato davanti. Sporco, spaventato, smagrito… Io e la mia ragazza avevamo portato qualcosa da dargli, una o due confezioni di mangime, e lo abbiamo sfamato così, con quel poco che avevamo. Poi l’ho visitato, sembrava sanissimo. Però, siccome tutti gli animali che arrivano dall’estero devono fare un periodo di isolamento, lo abbiamo mandato in quarantena in una struttura della Azienda Sanitaria Provinciale di Vittoria». 

Gianluca non si ricorda né come si chiamasse la ragazza, né come si chiamasse il gatto. «Era quasi mezzanotte. Il clima a bordo del rimorchiatore era piuttosto agitato. Non ho pensato a certi dettagli». Ma si ricorda molto bene la disperazione della donna nel momento in cui l’interprete le ha comunicato che avrebbe dovuto separarsi dall’animale, per via della quarantena. «Quando gliel’abbiamo detto, è scoppiata in un pianto disperato, e non riuscivamo a consolarla in nessun modo». Qualcuno le ha promesso che avrebbe rivisto l’animale alla fine dell’isolamento necessario a stabilire che non è portatore di gravi malattie o infezioni. «Spero davvero che alla fine della quarantena i due fratelli possano riavere il loro gatto. Se lo meritano. In fondo, non abbandonandolo prima di fuggire dal loro Paese, hanno compiuto un grande atto d’amore». Ma è la prima volta che sui barconi arrivano anche animali, al seguito degli immigrati clandestini? «No no, c’è stata anche una capretta», dice Brafa. «Una capra, sì. Ma non è arrivata qui, mi sembra che l’abbiano portata a Lampedusa». 

Quanti si liberano dei loro cani e gatti come se fossero sacchetti di spazzatura, per andarsene poi sereni in vacanza. E questi due ragazzi, certo con altri problemi rispetto a quello di una villeggiatura tranquilla, se lo sono portato su un barcone dalla Siria (MerideGreis).


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