venerdì 3 gennaio 2014

un po' di pace a Lampedusa

Mezzanotte, in una casa di Lampedusa. Gli ospiti d'onore sono due, Tami e Falus. Eritrei, naufraghi, indagati per clandestinità e prigionieri. Il loro maledetto 2013 se n'è andato con un cenone in famiglia. L'ultimo giorno dell'anno, sull'ultima isola in fondo all'Italia, ci siamo ritrovati con gli ultimi sopravvissuti delle traversate del Mediterraneo. Brindisi in casa Cappello-Aiello, via Nino Bixio numero 9, le prime palazzine di Lampedusa quasi attaccate alla pista dell'aeroporto. 

"Auguri Tami", gli dice il nonno. "Baci Falus", gli dice lo zio. "Auguri auguri e baci baci", ripetono loro che sono stravolti fra luci, botti, abbracci, presepi e alberi di Natale. Ripescati all'alba del 3 ottobre nell'insenatura della Tabaccara e al tramonto dell'11 ottobre al largo di Malta si siedono tre mesi dopo in mezzo a una tavolata di parenti, tutti insieme ventisette. Festeggiano di essere ancora vivi con tre generazioni di lampedusani. Lui è Tami, lungo e smilzo, soldato disertore di 23 anni, che ha abbandonato il suo villaggio per raggiungere l'Europa. Lei è Falus, 18 anni, minuta, riccia, le unghie smaltate di verde, l'unica donna fra i sedici ancora rinchiusi nel "centro di primo soccorso e accoglienza" dell'isola in attesa di interrogatorio giudiziario. Lui l'hanno tirato su a mezzo miglio dalla costa - 366 cadaveri e 110 superstiti - su un peschereccio, lei l'hanno salvata nel Canale di Sicilia - 268 cadaveri e 212 superstiti - i soldati della Marina militare.

Sera del 31 dicembre, tutti e due sono "in libera uscita" ed entrano in una cucina piena di ogni ben di dio, salutati da una piccola folla che si è riunita anche per loro. Tutti stretti uno accanto all'altro, presidi e cuochi, gente di mare, impiegati, pensionati, bambini. E al centro Tami e Falus, gli invitati speciali…

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