venerdì 19 ottobre 2012

Ecuador 1 e 2

Di notte a Quito, che sta a 2800 metri, il freddo ti investe appena si spalanca la porta automatica dell'aeroporto. Ma se la mattina dopo di buon'ora, assieme all'incaricato di Oxfam Italia , señor Jesus, si percorrono un centinaio di chilometri verso nord sulla Panamericana, si arriva nella provincia andina dell'Imbabura, a Cotacachi, dove il sole alle 8 picchia già forte, mentre si arrampica su un cielo di un azzurro accecante e irraggiungibile, senza rendere mai l'aria torrida. Neanche a mezzogiorno. 

"Perché siamo qui".
 Lungo il percorso, Jesus con voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di 
Oxfam Italia qui in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo di  Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e la tutela delle colture tradizionali…
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Chevron vuole gabbare l'Ecuador - Paola Desai

Una nuova sconfitta legale per Chevron: la Corte suprema degli Stati uniti ha rifiutato di considerare il suo ricorso contro il giudizio emesso la scorsa settimana da un tribunale di New York, che a sua volta respingeva un ricorso presentato dalla compagnia petrolifera. Quello che Chevron sta cercando (finora invano) di ottenere è che sia bloccata la condanna a suo carico emessa nel febbraio scorso dal tribunale di Lago Agrio, cittadina dell'Ecuador: dopo un processo durato ben 8 anni, i giudici ecuadoriani hanno infatti ritenuto la multinazionale americana responsabile di aver provocato gravi danni ambientali, condannandola a pagare un sostanzioso risarcimento - 18,2 miliardi di dollari - alle popolazioni danneggiate. Da quando la sentenza è stata emessa Chevron le ha tentate tutte. Il suo primo ricorso è stato respinto dalla Corte d'appello di Lago Agrio, che ha ratificato il giudizio di primo grado «in tutte le sue parti, inclusa la sentenza per risarcimenti morali», ovvero quei 18 miliardi di dollari. Allora, urlando che la decisione del tribunale ecuadoriano è un «chiaro esempio della politicizzazione e corruzione della magistratura dell'Ecuador», Chevron si è rivolta alla magistratura degli Stati uniti. Qui però una corte d'appello di New York ha obiettato che «imputati delusi da un giudizio emesso all'estero» non possono chiedere alla giustizia americana di «delegittimare il sistema legale» di un altro paese. 

Il caso Chevron versus la popolazione del distretto di Lago Agrio, nell'amazzonia ecuadoriana, è una battaglia cominciata ormai vent'anni fa, nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti…
  

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