venerdì 23 dicembre 2011

Lopez Murphy for president - Truth (Upside - Down)

bellissimo! - francesco


Perché preoccuparsi della morte delle lingue indigene

“You say laughter and I say larfter “ [Tu dici “laughter” e io dico “larfter”] cantava Louis Armstrong. La differenza tra le due parole, che significano entrambe “risata”, è così sottile che in italiano non ha equivalente. Eppure, in tutto il mondo, dall’Amazzonia all’Artico, i popoli tribali esprimono questo concetto in 4.000 modi completamente diversi.


Tuttavia, oggi più nessuno può dire “risate” in eyak, una lingua del Golfo dell’Alaska, perché i suoi ultimi fluenti interpreti sono morti nel 2008. Nessuno può più dirlo nemmeno nella lingua bo delle isole Andamane: l’ultima persona che sapeva parlarla, Boa Senior, è morta nel 2010. Quasi 55.000 anni di pensieri e idee – la storia collettiva di un intero popolo – sono morti con lei.


La maggior parte delle lingue tribali sta scomparendo più velocemente di quanto possano essere documentate. I linguisti dell’Istituto Living Tongues for Endangered Languages ritengono che in media scompaia una lingua ogni due settimane. Entro il 2100, più della metà delle oltre 7.000 lingue parlate sulla Terra – molte delle quali non ancora registrate – potrebbero scomparire. Il ritmo con cui stanno diminuendo supera persino quello delle specie in estinzione...
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martedì 20 dicembre 2011

Salvare l’infanzia


La natura, sulla nostra bella Terra, è in pericolo. Piante e animali spariscono dal Pianeta e il disordine climatico è un argomento di cui tutti parlano.

C’è però anche dell’altro in pericolo: l’infanzia.

                        In tutti i Paesi del mondo la pressione sui bambini si intensifica: scolarizzazione               sempre più  precoce, curriculum statale per i primi 10 anni di vita, apprendimento della     lettura a tre anni, inasprimento della concorrenza fra bambini, esami, insegnamento                                            intellettualizzato, poco movimento, nessuna arte, nessun gioco.

   In casa: famiglie che vanno in pezzi, genitori stressati, disoccupazione, povertà, bambini lasciati soli davanti alle immagini dello schermo, giochi da computer. Anche i figli dei ricchi sono poveri!

   Non impediamoci di fare ciò che più è necessario per la conservazione dell’infanzia. Regaliamo ai      nostri bambini almeno 10 anni di infanzia. Così soltanto potranno, divenuti adulti, avere  sufficiente forza di fantasia per plasmare la vita sulla Terra in modo nuovo e meglio di noi. Ne va infatti della Terra, delle forze giovanili della Terra.

   La “scuola” deve essere pensata a nuovo! Una scuola nella quale i bambini possano vivere,      giocare e lavorare in modo che la loro naturale capacità di immaginazione possa
     trasformarsi in fantasia creatrice. Nella quale possano vivere senza subire pressione e senza paura, in modo che persino nell’apprendere siano felici e ne traggano salute.


1.     L’infanzia messa a rischio attraverso la scuola

La civilizzazione che, muovendo dall’Europa occidentale, ha afferrato negli ultimi secoli l’intera umanità, è ostile all’infanzia. Lo mostra, in tutta la sua acutezza, la vita nelle città: in ogni movimento non sorvegliato che il bambino compie c’è il rischio della vita. È proibito giocare. Il metro di misura di tutte le cose è la libera autorealizzazione individuale dell’adulto entro le condizioni materiali dell’esistenza terrena. Infanzia e vecchiaia non sono altro che pesanti, inevitabili effetti collaterali...

lunedì 19 dicembre 2011

legname africano in Germania per salvare il clima?

Vattenfall è una multinazionale energetica – il quinto produttore europeo – di proprietà dello stato svedese. La sua affiliata Vattenfall Europe, con sede a Berlino, è uno dei principali fornitori sul mercato energetico tedesco. La produzione di energia della Vattenfall ci è principalmente basata sul carbone (65% – l’impresa controlla miniere di lignite nella Germania orientale) e uranio (26%). Ma l’azienda ha anche investito nelle cosiddette energie  “pulito” le fonti di energia, come le biomasse. Secondo quanto riportato dal suo sito web, la Vattenfall possiede oltre 40  centrali elettriche in Europa, alimentate in tutto o in parte da biomassa, e si definisce “uno dei leader mondiali del settore“.  E difatti consuma più di tre milioni di tonnellate di biomassa all’anno, di cui il 60% è costituito da rifiuti domestici e industriali, e il 30% da sottoprodotti dell’industria forestale.
Per anni, Vattenfall è stata considerata una delle “pecore nere” del mercato energetico tedesco, a causa del suo alto consumo di carbone e per lo sfruttamento delle sue miniere di lignite, così come i suoi impianti nucleari. L’impresa è stata oggetto di ripetute proteste da parte dei cittadini e delle associazioni ambientaliste, come quando era prevista la costruzione di una nuova centrale a carbone a Berlino. In quella occasione, l’impresa ha cambiato i suoi piani e ha annunciato nel marzo 2009 che avrebbe invece costruito due centrali a biomassa e due centrali a gas naturale. Il Senato di Berlino e gli ambientalisti sono stati soddisfatti della decisione e si sono congratulati con l’azienda...


giovedì 15 dicembre 2011

guerra per l'acqua

Abdallah guarda fisso il canale vuoto. Stupito, nervoso, quasi rassegnato. In questa bella giornata di sole non si aspettava di trovarsi di fronte il torrente dell’infanzia sua e di tanti bambini palestinesi completamente prosciugato. Accanto al canale senza più una goccia d’acqua, sta un’immensa pompa israeliana protetta da reti elettrificate.
“Al Auja era una sorgente, da cui partiva il torrente”, spiega Abdallah Awudallah, 29 anni, del villaggio di Ubbedyia nel distretto di Betlemme. Ha accompagnato un gruppo di internazionali alla scoperta della Jordan Valley, delle sue risorse d’acqua rubate e delle sue terre confiscate. E il tour avrebbe dovuto concludersi alla sorgente di Al Auja. Ma di acqua nella sorgente non ce n’è più.
“In arabo ‘auja’ significa ‘nella direzione opposta’ – spiega Abdallah – Chiamavamo il torrente così perché per lunghi tratti l’acqua correva verso l’alto e non verso il basso. A causa della forte pressione e della velocità, l’acqua riceveva la spinta necessaria a salire verso l’alto”.
Un sito unico che colorava di verde il deserto. “Molte delle scuole della Cisgiordania erano solite portare in gita qui gli alunni, a Gerico e poi ad Al Auja: era il luogo perfetto per passare una giornata tra acqua e pesci e per studiare una delle risorse naturali fondamentali alla vita. Nessuna scuola palestinese può organizzare gite a Tiberiade, nella Palestina ’48, per mancanza dei permessi necessari a entrare in Israele. Così, Al Auja era l’unico luogo in cui venire a contatto con l’importanza dell’acqua”...

Non sono d’accordo con la suora che invitava a non comperare cibo per cani dimenticando i bambini del terzo mondo: ma il Vaticano che non paga l’Ici li ricorda? - Paolo Collo

In una trasmissione su Rai Uno una suora informava il gentile pubblico che con il costo di una scatoletta di cibo per cani si può sfamare un bambino in un Paese del Terzo Mondo. Innanzitutto consiglierei a quella suora di rinunciare “lei” a qualcosa per sfamare un bambino del Terzo Mondo. Poi consiglierei alla medesima sorella di andare a vedere PRIMA quanto si spende per le cosiddette “missioni militari di pace” o per gli armamenti (già solo nel nostro Paese) e di non puntare il suo ben poco cristiano indice accusatorio su chi ha un animale da compagnia.
Infine – last but not least – vorrei informare la suddetta suora che con il pagamento dell’Ici sui beni immobiliari del Vaticano presenti sul suolo italiano e con la dismissione dei beni del Vaticano e dello Ior, si potrebbero sfamare tranquillamente tutti i bambini e tutti i cani del mondo. Il Vaticano, come forse anche la suora saprà, non paga Ici, Irpef, Ires, Imu, tasse immobiliari e doganali e nemmeno il gas, l’acqua, e via benedicendo. E che questi costi sono tutti a carico dei contribuenti italiani (cioè noi). Il Vaticano – faccia attenzione cara sorella – possiede quasi il 30% del patrimonio immobiliare nazionale e con l’8 per mille si appropria di quasi 1 miliardo di euro all’anno…
Per questo continuerò a comprare le scatolette per il mio cane e per il mio gatto (orrore sorella: ben due scatolette!) sperando di non venir scomunicato.

mercoledì 14 dicembre 2011

Occupy the Food System - Jim Goodman

...The food system isn't working. People eat too many calories, or too few. There's too much processed food on our plates. Too many Americans lack access to food that is fresh, nutritious, and locally grown. This is the food system that corporate America has given us. It's the food system it's selling to the rest of the world.
Clearly, this system doesn't have the best interests of the public at heart. Nor does it consider the interests of farmers or farm workers or animals or the environment. It has one interest: profit.
We all have to wake up.
Farmers need access to farm credit, a fair mortgage on their land, fair prices for the food they produce, and seeds that aren't patented by Monsanto or other big corporations. Consumers need to be able to purchase healthy and local food, and to earn a living wage.
The parallels are pointedly exact. It may be the Wall Street banks that are controlling our lives, or it may be Monsanto, Cargill, DuPont, Kraft, or Tyson's. The system isn't working.
Why do agribusiness profits continue to grow while farmers struggle to pay their costs of production and more Americans go hungry? We can't feed our people if we are forced to feed the bank accounts of the 1 percent.
Agribusinesses insist that we have the responsibility of feeding the world. Growing more genetically engineered corn and soy isn't going to feed the world, nor will it correct the flaws in our food system; clearly it has created many of them...

lunedì 12 dicembre 2011

Doni all'umanità


La manioca, conosciuta anche come cassava, è un arbusto originario del Sudamerica e ha una radice a tubero commestibile.
Coltivata dagli Indiani sudamericani, la radice di manioca è divenuta oggi un alimento d’importanza mondiale. È l’elemento principale della dieta di circa un miliardo di persone in oltre 100 paesi diversi, cui fornisce circa un terzo del fabbisogno calorico giornaliero. Nella sola Africa, lo utilizza quasi l’80% della popolazione.
In generale esistono due varietà di manioca: dolce e amara, entrambe velenose se non vengono preparate adeguatamente. Molte tribù amazzoniche mangiano solo il tipo dolce o solo quello amaro, raramente entrambi. La maggior parte degli Indiani ne coltiva decine di varietà differenti: la sola tribù dei Tucano ne utilizza più di cinquanta.
La manioca cresce nei terreni poveri, non teme la siccità ed è una coltura perenne, che può essere raccolta tutto l’anno. Oggi è utilizzata ovunque anche come mangime per animali.
La manioca ha già salvato innumerevoli vite e, con l’aumentare della povertà, diventerà un alimento sempre più importante.
Il lattice
L’albero della gomma è la fonte principale della gomma naturale e si trova nella parte settentrionale dell’America del sud.
A scoprire e diffondere l’uso del suo lattice – la linfa opaca e resinosa, color latte oppure gialla, che si estrae dall’albero – sono stati gli Indiani sudamericani.
Gli Indiani sapevano come utilizzare il lattice già molto prima che Cristoforo Colombo arrivasse nel “Nuovo Mondo” nel 1492. Lo utilizzavano per impermeabilizzare i loro indumenti e per costruire utensili come perette e siringhe di gomma.
Nel 1736 l’esploratore francese Charles de la Condamine, in missione in Sud America per l’Accademia delle Scienze di Parigi, inviò a casa una lettera in cui descriveva l’uso del lattice: “Gli Indiani fabbricano bottiglie di lattice a forma di pera nel cui collo inseriscono pezzi di legno lunghi e cavi. Schiacciandole, il liquido che contengono cola nella cannuccia, trasformandole in siringhe vere e proprie”. Alcuni oggetti di gomma sono stati ritrovati negli scavi della città maya di Chichén Itza.
Verso la fine del XIX secolo, la scoperta del processo di vulcanizzazione del lattice scatenò il “boom della gomma” che coinvolse tutta l’Amazzonia e sterminò il 90% della popolazione indigena in un’ondata terribile di schiavitù, malattie e cieca brutalità.
Il lattice può essere estratto in modo sostenibile, senza danneggiare gli alberi. Oggi la gomma naturale è usata per realizzare palline rimbalzanti, stivali, palloni e guanti, ed è più indicata della gomma sintetica per gli pneumatici di aerei e navicelle spaziali.
La medicina indigena
Se non fosse stato per le raffinatissime conoscenze botaniche dei popoli indigeni e tribali, in particolar modo di quelli che vivono nelle foreste tropicali, molti dei composti medicinali vitali per l’uomo potrebbero essere ancora sconosciuti.
Si pensa che le piante siano state essenziali nello sviluppo di circa il 50% delle medicine esistenti oggi.
In Sud America, alcuni preparati vegetali usati dagli Indiani come veleni, come il curaro, hanno assunto un’importanza fondamentale nella medicina occidentale. Usati sulle punte delle frecce per immobilizzare la preda, sono stati trasformati in rilassanti muscolari che hanno reso possibili procedure come la chirurgia a cuore aperto.
Anni di sperimentazione con le loro piante, hanno fatto scoprire agli Yanomami del Brasile e del Venezuela che il succo di una vite tropicale, conosciuta anche come “artiglio di gatto”, cura la diarrea; alcuni studi compiuti in Europa hanno rivelato la sua efficacia anche nel trattamento dell’artrite reumatoide.
La famosa aspirina è stata confezionata a migliaia di chilometri di distanza, nel Nord America, a partire dalla corteccia del salice bianco che gli indiani Nordamericani usavano bollire per curare il mal di testa. Il farmaco Taxol invece, un estratto della corteccia e degli aghi del tasso del Pacifico, adottato dagli Indiani Nordamericani per i suoi poteri di rinforzo delle difese immunitarie, è usato oggi per curare i tumori alle ovaie e al seno.

Nell’Africa meridionale il Buchu, una pianta che, ridotta in poltiglia, i Boscimani usano da sempre per curare le piccole ferite, è divenuta oggi una cura per le malattie dei reni e delle vie urinarie (una casa farmaceutica londinese brevettò la pianta nel lontano 1821).

sabato 10 dicembre 2011

Critical Fish

sembra pubblicità, è solo riduzione del danno - francesco


In realta' la pescheria di via Ancona c'era da anni, ma da qualche settimana ha cambiato nome e "formula". Io me ne sono accorta la settimana scorsa, quando ho visto il gazebo con i tavolini montato di fronte. Il primo pensiero e' stato "maledizione, la gia' remota possibilita' di trovare parcheggio vicino casa diminuisce ancora"; il secondo "Ma che ci fa una pescheria con i tavoli??".
La risposta e' Critical Fish, o meglio Ethical Fish. Che, al di la', dei nomi e della grafica ammiccanti, sono due idee carine.

Prima di tutto, consumo critico e consapevole: Critical Fish, creato della cooperativa sociale BeMar, promuove la filiera corta anche per il pesce; dunque, dal pescatore (in particolare, le barche che pescano nei mari del Lazio e del Sud Italia, tra Cilento e Calabria) al consumatore, tramite i GAS (gruppi di acquisto solidali), il sit
o web, abbonamenti settimanali per famiglie e single e la vendita al dettaglio.  Il pesce dunque, completamente tracciabile, e' solo di provenienza nazionale, di stagione e catturato con sistemi ecosostenibili. Niente pesci "pregiati" di allevamento imbottiti con antibiotici e mangimi, niente pesci "a rischio" come il tonno rosso.

Poi, educazione alimentare: Critical Fish e' anche la prima pescheria didattica di Roma, e con la collaborazione di una biologa organizza percorsi ludico-didattici per le scuole, ospitando piccoli gruppi di ragazzi per spiegargli tutto sul pesce e le sue proprieta' nutritive…


Nel 2061 i mari saranno come deserti. Salmoni, tonni, merluzzi, ippoglossi, spada e sardine sono in via di estinzione. Lo dice Mark Kurlansky, scrittore magari un po' apocalittico, ma non troppo. E allora se siete stufi di contribuire allo spopolamento dei mari e al deserto delle coscienze, fate un salto daCritical Fish, la pescheria più didattica ed etica della capitale, aperta dal 20 maggio. Noi ci andiamo, a un passo dal mercato coperto di piazza Alessandria, e incontriamo un sorridenteFrancesco Maria Primerano, pescivendolo, anzi marinaro, come si dice nella sua Pizzo Calabro, da sedici generazioni. Che ci racconta, con un entusiasmo coinvolgente, come è nata l’idea di fare di una piccola pescheria, un luogo di promozione della cultura ittica responsabile e del consumo critico (dove si fa, peraltro, un ottimo aperitivo a base di crudo di pesce e vini laziali…)

D'Istante - Nikola Brunelli



da qui

venerdì 9 dicembre 2011

Gaston

Ero a Praga la settimana prima dell'alluvione e mi sono ricordato di Gaston - francesco



A seal which made a bid for freedom when Prague zoo was flooded, has died after being recaptured more than 120 kilometres away in Germany.
The seal, Gaston, who was 12 years old, died as he was being transported back to Prague, where he was to have been re-united with his mate, Julie, and two-month-old son, Melon.
The director of the Prague zoo, Petr Fejk, said his death could have been due to shock, exhaustion, or internal injuries.
Gaston was pursued along his five-day journey down the flooded Vltava and Elbe rivers by animal handlers in helicopters and boats.
He was finally captured just north of Dresden…

L'INTREPIDO Gaston, in quanto foca, foca, ha cercato di mettere a frutto l'onda rabbiosa della Moldava prendendo il largo dallo zoo di Praga e puntando diritto verso il Nord, laddove i suoi baffi intuivano il mare. Essendo la Mitteleuropa diventata una sola immensa fiumara, lo hanno ritrovato cinque giorni dopo nell'Elba, in acque tedesche, che arrancava smarrito.

Si ignora se sia stato lo stress da vastità, le porcherie chimiche che inzuppavano la piena, qualche lesione interna patita durante lo scardinamento della sua prigione. Fatto sta che Gaston è morto prima ancora di tornare a Praga, mentre mezzo paese già lo aspettava in festa, come un Mosé salvato dalle acque…
…Per capire Gaston non ci serve la filosofia, ci basta il racconto. Lo squasso d'acqua che arriva e stronca il collega elefante e perfino il collega ippopotamo, e invece solleva Gaston come una palla veloce e lo fa schizzare lontano. Il disorientamento (ah, la libertà, che pericoloso affare sa essere!), il riordinarsi veloce dei neuroni e dei muscoli attorno a un progetto di salvezza, l'intuizione di un qualche mare con qualche pesce da qualche parte, il viaggio a cercare vita magari più perigliosa, magari più divertente.

Si tifa per Gaston perché si tifa per la luce e per il respiro, per l'approdo riposante e per lo stomaco pieno, per la pienezza ammirevole dell'essere vivi. La foca, poi, è una specie di parente acquatico del cane, ha la stessa balordaggine giocosa, lo stesso muso vibratile, abbaia perfino. Poco importa sapere se sia pensierosa alla nostra maniera, elaboratrice di strategie o collezionista di esperienze: se la vediamo reggere un urto bio-cida come quello di un'alluvione, cercare di trasformarlo in viaggio e in sopravvivenza, non possiamo non riconoscerci in lei, partecipare alle sorti del suo naufragio, credere che ci rappresenti, che sia caduta dalla nostra stessa barca.

Il lutto praghese per la morte di Gaston è perfettamente lecito, non leva niente al lutto per le vittime umane e anzi aggiunge, a quelle perdite, un suggello più generale, quello della ferita che il disastro ambientale infligge, appunto, a tutto l'ambiente, a tutto il vivo nel quale viviamo…

mercoledì 7 dicembre 2011

il canadà adotta le banconote di plastica. più facili da riciclare (in senso ecologico)

i cinesi del nono secolo avevano inventato la carta-moneta?
gli italiani del tredicesimo secolo avevano inventato le note di banca, ovvero banco-note?
ebbene, nel ventunesimo secolo i canadesi adottano le banconote di plastica.
plastica riciclabile, beninteso: e qui, quando si parla di riciclaggio, non si intende di riciclaggio del denaro sporco.
non sono i primi al mondo.
l'australia da una ventina d'anni usa nei biglietti di banca anche uno strato sottile di polietilene trasparente, e così anche brasile, romania, papua nuova guinea.
dalla scorsa settimana in canadà circolano le nuove banconote da 100 dollari di un particolare materiale polimero.
safer, cheaper and greener”: così le ha descritte il governatore della banca del canada, mark carney, nel presentare la nuova $100...

martedì 6 dicembre 2011

Pasta Madre

Qual è l'idea?

Dopo il Pasta Madre Zero organizzato a Bologna lo scorso 10 Dicembre 2010...
quest'anno si festeggia il Terra Madre Day con il Pasta Madre Day in tutta Italia!

In tutte le città d'Italia, in ogni regione, in ogni piazza il 10 dicembre verrà "spacciata" pasta madre.
Sarà il più grande momento di spaccio collettivo mondiale.
Decine e decine di spacciatori si stanno già organizzando per condividere la propria passione e la propria pasta madre con tutti coloro che ne faranno richiesta.
Su questo sito verrano pubblicate tutte le informazioni utili, tutto il materiale necessario e sopratutto l'elenco aggiornato di tutti gli eventi. 

E' importante che questo evento abbia la più grande diffusione possibile...organizza anche tu un piccolo momento di "spaccio"! 

Non importa la grandezza dell'evento, il luogo o il numero di paste madri spacciate, quello che conta è il gesto. Gratuito.
Quindi vanno bene anche momenti di spaccio piccoli, piccolissimi...in casa, in un negozio amico, in un ristorante, in un bar, in un centro sociale, in un mercato...in una piazza!

La cosa importante è che, almeno per qualche ora, in quel luogo, in quel paese, la nostra Comunità del Cibo Pasta Madre spacci pasta madre!